PERDONARE… LA VERA FORZA
Perdonare sembra una virtù dimenticata, eppure è una virtù, come dire che è una vittoria e non una sconfitta… a casa, sul lavoro, sempre!
Il perdono non è un concetto, ma una esperienza della persona, che sceglie di vivere un rapporto positivo nei confronti di un’altra che l’ha offesa. Prima che un gesto umanitario di colui che cerca di vincere rancori e risentimenti dentro di sé, il perdono nasce da un cuore magnanimo, grande, capace di contenere il limite che c’è nell’altro, ma anche il limite del proprio sentimento di rivalsa. Il perdono è capace di contenere il limite che c’è nell’altro che ci ha offesi e il limite nostro nel fargli spazio.
Oltre al debito dell’altro c’è da vedere anche la nostra capacità di rispondere al debito altrui. Se ci si esercitiamo nel riconoscere i nostri debiti, saremo in grado di perdonare i debiti altrui, perché la forza con cui elaboriamo l’offesa altrui è proporzionale alla forza con cui elaboriamo la nostra coscienza di peccatori.
PERDONARE PERCHÉ
Anzitutto per migliorare se stessi e gli altri. L’esperienza dell’offesa può essere una motivo di forte delusione, ma anche una grande risorsa. Perdonare fa bene alla nostra vita psicologica e a quella degli altri, se è un’esperienza vissuta in modo maturo, ossia chi perdona e chi è perdonato si accostano al problema con sentimenti profondi e non superficiali. Infatti, chi perdona può anche farlo per convenienza, per utilità, per tornaconto; d’altra parte, chi riceve il perdono, potrebbe non fare tesoro dell’errore commesso e continuare nel suo limite. Perciò a volte si dice giustamente: “perdonare non è pedagogico sempre”.
Ma il perdono profondo si pone in un altro orizzonte di senso, che è quello del “dono”: perdonare è “donarsi”, è offrire se stessi come riscatto, è farsi dono, nonostante sia l’altro che mi deve qualcosa. Cosa donarsi? La volontà fattiva di essere migliori – per chi ha sbagliato – ma anche la capacità di contenere il male altrui in un contesto di amore. E allora, perché perdonare? Per “donare” vita, per “donare” amore, ricambiare l’altro non con il male che mi ha fatto, ma con il bene che gli “dono”. Questa esperienza esige una grande libertà interiore in colui che deve perdonare.
IL PERDONO CRISTIANO
La risposta a perché perdonare e quante volte perdonare, per il cristiano è nel Padre nostro. Il credente perdona nella logica del suo Maestro e Signore: Cristo. Il Padre perdona donando suo Figlio, mostrandosi misericordioso, nonostante la nostra ingratitudine. “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro; … perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,36-37). Se oggi facciamo fatica a perdonare, è perché non brilla in noi la consapevolezza del nostro peccato e, di conseguenza, la misericordia di Dio. Se noi non siamo peccatori, non abbiamo bisogno della misericordia di Dio, quindi nemmeno della salvezza. Se noi non ci sentiamo peccatori, Cristo non è morto “per noi”. Ma Dio ci mostra il suo grande amore perché mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi (cfr. Rm 5,8).

IL RICORDO DELL’OFFESA
Perdonare significa ricordare il passato per assimilarlo e farne parte della propria storia (Studzinski). Non è facile dimenticare, e il ricordo dell’offesa può alimentare la fiamma del risentimento. Saper perdonare porta a un calo nella motivazione di rivalersi nei confronti di chi ha sbagliato nei nostri confronti. Ma Dio non si ricorda dei nostri peccati, “li getta nel profondo del mare” (Mi 7,19). Il perdono aiuta la memoria a guarire: a poco a poco la ferita si cicatrizza, il ricordo dell’offesa diventa sempre meno presente e ossessivo, e non provoca più dolore. Perdono, ma non dimentico è un pessimo proposito, se sta ad indicare che non ci si fida più di quella persona, che si vuole stare sempre in guardia; ma è positivo se indica che il perdono non comporta amnesia dell’offesa (Monbourquette). Ed è sempre “giusto”, se la giustizia, propriamente intesa, ha per scopo il perdono. Infatti, la fondamentale struttura della giustizia penetra sempre il campo della misericordia (Giovanni Paolo II).
Rispetto alla logica antica dell’occhio per occhio, dente per dente (Es, 21,24), Cristo ci dà un comandamento nuovo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati” (Gv13,34). Il Catechismo (n.2842) nota che è impossibile osservare il comandamento del Signore, se si tratta di imitare il modello divino dall'esterno. Si tratta invece di una partecipazione vitale, che scaturisce “dalla profondità del cuore”, alla santità, alla misericordia, all'amore del nostro Dio. Soltanto lo Spirito, del quale “viviamo” (Gal5,25), può fare “nostri” i medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Allora diventa possibile l'unità del perdono, perdonarci “a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo” (Ef4,32). Un perdono incondizionato, sempre aperto, pronto a perdonare fino a 70 volte sette (Mt 18,21-22), e anche il nemico. (Giovanni Russo, sdb)