Come stai quando sei davanti ad un povero? Con pazienza, amore, indifferenza, fastidio, fretta, simpatia?
Gesù ritiene fatto a Lui stesso ciò che noi facciamo nei riguardi delle persone povere e sofferenti. Il compito della Chiesa è far riflettere la luce di Cristo in ogni epoca. Come non svilire questa missione? Noi per primi dobbiamo essere contemplativi del suo volto. Come? Con dei percorsi, altrimenti la nostra testimonianza sarebbe povera, misera. Vivremo il tutto con delusione e irritazione.
PRIMO PERCORSO
Quanto di Cristo ci dice la Sacra Scrittura? L'Antico e il Nuovo Testamento non sono due libri separati. Nel Nuovo Testamento Gesù svela, mostra, da compimento alle Promesse di Dio, già presenti nell'Antico Testamento. Il Nuovo Testamento non è una biografia di Gesù. Gli evangelisti mostrano il volto di Gesù Nazareno con un sicuro fondamento storico. Assieme alla Sacra Scrittura abbiamo la grazia di possedere delle risorse umane, strumenti storici, archeologici, letterari, per conoscere Cristo.
SECONDO PERCORSO
L'esperienza del silenzio e della preghiera. Questi due elementi offrono di maturare e sviluppare la conoscenza più vera, aderente, coerente del volto di Gesù (Gv 1,14), vedemmo non il suo volto ma la sua gloria. Questo è il vero incontro, con il Risorto.
TERZO PERCORSO
Nella celebrazione dei Sacramenti in cui la Salvezza ci raggiunge, risana e santifica il cuore e la vita. L'anno liturgico ci aiuta ad entrare sempre più i misteri di Cristo. Rimeditarli e lasciarci investire dalla Grazia per la quale la sorte di Cristo diventa la nostra. La liturgia è la grande maestra, prima di essere un compito è un dono, ci aiuta a comprendere il Cristianesimo, e proprio per questo dobbiamo curare la nostra partecipazione; cioè dobbiamo tenerci lontano dalla sciatteria o dalla teatralità, oppure ci lasciamo guidare dal senso del mistero che si compie e dalla dignità dell'atto liturgico.
QUARTO PERCORSO
Il livello storico e quello sacramentale necessitano un livello morale ed esistenziale per camminare sulla strada della santità perché lo scopo finale è il cambiamento di mentalità, cioè la conversione dell'uomo, la progressiva trasformazione in Cristo. Tutto questo vuol dire: sentimenti, pensieri, giudizi, atteggiamenti e le scelte di Cristo diventano la nostra quotidianità, il volto di Cristo è intravisto nel nostro volto.
Il volto di Cristo è da contemplare anche nel volto dei poveri perché Dio s'è fatto prossimo dell'uomo. Questa scelta di Dio dei poveri ci costringe ad uscire dal nostro individualismo ed egoismo, perché la contemplazione di Gesù è la ragione più profonda della nostra dedicazione agli altri. Se la contemplazione dovesse chiudersi, isolarci, lasciarci tranquilli non guadagnerò nulla sia nella contemplazione che nella carità. Con la contemplazione misuriamo la nostra fedeltà alla scelta dei poveri, per i poveri, perché ogni forma di povertà è un'opzione, non opzionale, ma fondamentale, perché anche i poveri si sentano comunità cristiana, cioè famiglia, altrimenti l'annuncio del Vangelo, prima forma di carità, si riduce ad un mucchio di parole, a filantropia.
La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole (NMI, 50). La dimensione contemplativa della vita ha bisogno di coraggio, cioè di spazi di silenzio per ricentrare la persona nella sua totalità. Chi ha tempo libero deve occuparlo per non cadere in forma di pigrizia o passività. Chi ha troppo da fare, deve decidersi a mettere in discussione qualcosa per fermarsi e ritrovare se stesso e il Signore.
La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole (NMI, 50). La dimensione contemplativa della vita ha bisogno di coraggio, cioè di spazi di silenzio per ricentrare la persona nella sua totalità. Chi ha tempo libero deve occuparlo per non cadere in forma di pigrizia o passività. Chi ha troppo da fare, deve decidersi a mettere in discussione qualcosa per fermarsi e ritrovare se stesso e il Signore.
Tutto questo per accettare se stessi, perché è la cosa più difficile, è l'arte di essere semplici, è il nocciolo di un'intera visione del mondo e dò prova di una grande virtù: ospito un mendicante, perdono chi mi ha offeso, amo il mio nemico nel nome di Cristo; ma se dovessi scoprire che...
il più piccolo di tutti
il più povero di tutti i mendicanti
il più sfacciato degli offensori
il nemico stesso
SONO IO?
Io stesso ho bisogno dell'elemosina della mia bontà, io stesso sono il nemico d'amare, cosa accadrebbe?
Accadrebbe un rovesciamento della verità cristiana, non avremo più amore e pazienza, ma insulteremo il fratello che è in noi, ci condanniamo, ci adiriamo contro noi stessi, mentiamo a noi stessi!
E se fosse Dio stesso a presentarsi a noi sotto quella forma spregevole? Lo avremmo rinnegato! Il rischio sarebbe di cadere in un vittimismo che paralizza, una disistima patologica.
Invece la nostra povertà, riconosciuta e accolta ci condurrà alla consapevolezza che nulla mi appartiene e tutto è un dono, "Conoscete infatti la grazia del signore nostro Gesù Cristo; da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Cor 8,9).
Quindi un rifiuto alla violenza, all'affermazione di sé, alle aspettative verso gli altri; i progetti, tempo, mezzi non per sé ma al servizio degli altri, come Gesù, prendendo la propria croce per non essere il primo. Per essere "poveri in spirito", cioè coloro che non si sentano autosufficienti, ma si affidano a Dio, perché certi della sua bontà, potenza, misericordia, sono coloro che hanno messo ogni speranza in Dio; è l'uomo che ha capito che deve tutto a Dio, non è padrone del mondo, è colui che ha bisogno degli altri, ma ha una sicurezza...Dio lo ama!
E' l'uomo che chiede, domanda, ringrazia sapendo che tutto quello che riceve è un dono. E' l'uomo che non ha vergogna d'essere aiutato, non petulante (arrogante, permaloso). Riconosce l'amore vero e gratuito, non pensa di avere diritto a tutto, o dei meriti; non è un violento.
Ciò che conta è non essere sazio, perché non è sufficiente che Gesù porti il suo Regno, ma serve l'accoglienza, solo così il Regno diventa visibile. Gesù usa solo per due categorie di uomo la parola fratello, per il povero e per il discepolo. Queste due categorie sono il metro di giudizio della civiltà che stiamo costruendo. Per noi cristiani l'unico metro di misura sono i poveri, perché ogni giudizio che dimentica le sofferenze dei fratelli reca il segno di Caino.
Persino le virtù personali, la Trascendenza, la preghiera, la meditazione se non portano in sé l'urgenza di dedicarsi agli altri non diventa storia di liberazione.
Nutrire una vera attenzione ai poveri, e lottando l'ipocrisia che sotto una falsa benevolenza li considera degli scarti, significa contemplarli non in astratto ma che s'intrecciano con la propria vita. Contemplando il loro volto, cioè la sua domanda e la sua richiesta di aiuto, lì troveremo Dio. I poveri non sono utenti, ma fratelli, il cristiano è colui che ha un povero per amico. Diventando amici di Dio ci si ritrova amici dei poveri. Chi aiuta i poveri, si ritroverà una vita riempita dai bisognosi, veri angeli di senso e affetto. I poveri non sono attraenti, imbarazzano, importunano, chiedono, ma anche intercederanno per noi davanti a Dio nell'ultimo giorno.
La carità verso i poveri è un tempo di misericordia, di salvezza. Dio e il povero hanno uno stretto legame, sono una cosa sola, una carne sola.
Il povero è un uomo reale che mendica, che ha la mano chiusa o aperta. Non basta essere un compagno o un camerata, un angelo custode a ore, una visione dei poveri molto romantica. Non basta giustificarsi, non serve filosofare se vogliamo Dio o se amiamo Dio, dobbiamo entrare nella nostra povertà e cercare il povero che è in noi per trovare l'uomo nel povero.
il più piccolo di tutti
il più povero di tutti i mendicanti
il più sfacciato degli offensori
il nemico stesso
SONO IO?
Io stesso ho bisogno dell'elemosina della mia bontà, io stesso sono il nemico d'amare, cosa accadrebbe?
Accadrebbe un rovesciamento della verità cristiana, non avremo più amore e pazienza, ma insulteremo il fratello che è in noi, ci condanniamo, ci adiriamo contro noi stessi, mentiamo a noi stessi!
E se fosse Dio stesso a presentarsi a noi sotto quella forma spregevole? Lo avremmo rinnegato! Il rischio sarebbe di cadere in un vittimismo che paralizza, una disistima patologica.
Invece la nostra povertà, riconosciuta e accolta ci condurrà alla consapevolezza che nulla mi appartiene e tutto è un dono, "Conoscete infatti la grazia del signore nostro Gesù Cristo; da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Cor 8,9).
Quindi un rifiuto alla violenza, all'affermazione di sé, alle aspettative verso gli altri; i progetti, tempo, mezzi non per sé ma al servizio degli altri, come Gesù, prendendo la propria croce per non essere il primo. Per essere "poveri in spirito", cioè coloro che non si sentano autosufficienti, ma si affidano a Dio, perché certi della sua bontà, potenza, misericordia, sono coloro che hanno messo ogni speranza in Dio; è l'uomo che ha capito che deve tutto a Dio, non è padrone del mondo, è colui che ha bisogno degli altri, ma ha una sicurezza...Dio lo ama!
E' l'uomo che chiede, domanda, ringrazia sapendo che tutto quello che riceve è un dono. E' l'uomo che non ha vergogna d'essere aiutato, non petulante (arrogante, permaloso). Riconosce l'amore vero e gratuito, non pensa di avere diritto a tutto, o dei meriti; non è un violento.
Ciò che conta è non essere sazio, perché non è sufficiente che Gesù porti il suo Regno, ma serve l'accoglienza, solo così il Regno diventa visibile. Gesù usa solo per due categorie di uomo la parola fratello, per il povero e per il discepolo. Queste due categorie sono il metro di giudizio della civiltà che stiamo costruendo. Per noi cristiani l'unico metro di misura sono i poveri, perché ogni giudizio che dimentica le sofferenze dei fratelli reca il segno di Caino.
Persino le virtù personali, la Trascendenza, la preghiera, la meditazione se non portano in sé l'urgenza di dedicarsi agli altri non diventa storia di liberazione.
Nutrire una vera attenzione ai poveri, e lottando l'ipocrisia che sotto una falsa benevolenza li considera degli scarti, significa contemplarli non in astratto ma che s'intrecciano con la propria vita. Contemplando il loro volto, cioè la sua domanda e la sua richiesta di aiuto, lì troveremo Dio. I poveri non sono utenti, ma fratelli, il cristiano è colui che ha un povero per amico. Diventando amici di Dio ci si ritrova amici dei poveri. Chi aiuta i poveri, si ritroverà una vita riempita dai bisognosi, veri angeli di senso e affetto. I poveri non sono attraenti, imbarazzano, importunano, chiedono, ma anche intercederanno per noi davanti a Dio nell'ultimo giorno.
Il povero è un uomo reale che mendica, che ha la mano chiusa o aperta. Non basta essere un compagno o un camerata, un angelo custode a ore, una visione dei poveri molto romantica. Non basta giustificarsi, non serve filosofare se vogliamo Dio o se amiamo Dio, dobbiamo entrare nella nostra povertà e cercare il povero che è in noi per trovare l'uomo nel povero.