Dio da padrone della vigna a vite, a linfa vitale. Continuo a cercare Dio ovunque, in tante forme di preghiera e di affetto, ma non mi rendo conto che Dio è in me, scorre nelle mie vene. Dio non ha più una vigna ma è Dio stesso la Vite. Giovanni mi propone il suo punto di vista. Da una parte abbiamo un ringraziamento, perché il discepolo unito a Cristo può portare frutto; dall'altra parte un avvertimento, perché il cristiano può essere sterile, improduttivo. Le prove ci aiutano nel potare le gemme superflue, anche se portano allo smarrimento, sono sempre una benedizione. Quindi anche la Chiesa, sposa di Cristo, non è esente dal peccato, solo perché è stata salvata è feconda.
Solo rimanendo in Cristo posso portare dei frutti, cioè un nome nuovo alla morale del Vangelo. Dio non ha bisogno delle mie penitenze ma dei miei frutti. Frutti con dentro un buon sapore di vita, per dissetare l'arsura che il materialismo e l'apparire, il relativismo producono. Il vero frutto non rimane in se stesso, perché nessun albero consuma i propri frutti, sono portati a maturazione per le altre creature. Questa è la perfezione: maturare e dimenticarsi nel dono, solo in Gesù c'è la vera salvezza e saremo giudicati sui nostri frutti, non secondo il personale punto di vista, perché l'amore lo si "verifica" sui fatti. Solo in Gesù è necessaria una dipendenza perché la Grazia agisca, per essere membri della Chiesa, non come dei servi ma in una comunione amicale. Solo in questa comunione imparo a riconoscere Dio e chiedergli che la mia vita sia veramente fertile nella fede e nell'anima.
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