Cos'è la Vocazione?
Ma allora la mia risposta è condizionata?
Cosa vuol dire rinnegare se stessi?
Come vivere in questa ottica nella nostra civiltà?
La nostra cultura mette al primo posto il "successo professionale", l'ossessione della realizzazione. E' una cultura di "professioni", non di "vocazioni". Professione è sinonimo di lavoro, denaro, livello di vita e autorealizzazione. Si perde il senso della vocazione perchè si è perso il significato del mettere la propria vita a servizio degli altri. Per questo mancano "vocazioni" in tutti gli ambiti della vita umana e sociale. Si possono avere degli eccellenti professionisti in medicina senza la "vocazione" a essere medici.
La vocazione come opzione di vita, vita posta al servizio degli altri, suppone un'esperienza di esodo da se stessi, un uscire dall'io chiuso in se stesso per riceversi come "io pro-vocato" da Dio. E' necessario essere passati attraverso l'esperienza di questa perdita di sè per scoprire la gioia di realizzarsi "perdendosi", di conservare la vita donandola.
E' una questione di identità, inseparabile dalla qualità della vita.
Qual è il nucleo della vita religiosa apostolica?
Qual è vocazione migliore per sentirsi realizzati?
Vocazione intesa come opzione di vita non solamente come questione di gusti, qualità, ecc. nella decisione iniziale. Sappiamo che ogni opzione di vita implica dei rischi. Per questo, una vocazione consistente esige un fondamento solido. La vocazione appare come un "avvenimento" che sopravvive nella vita di una persona, incontrando uno che le rivolge una chiamata. Avvenimento sorprendente, insperato e per questo gratuto. La chiamata viene da fuori, da un "altro", da qualcuno che interpella e in questo modo modifica la vita della persona. Si tratta di ciò che i Vangeli descrivono come "incontro" con Gesù di Nazaret.
La risposta può essere solo personale e libera, nessuno può rispondere al posto di un altro: la chiamata è categorica, imperativa "seguimi!"... cioè tutto o niente. Ciò che è in gioco è la totalità della vita della persona. Ma è possibile che uno rischi in questo modo la sua libertà umana? La "grazia" della vocazione è presente nell'atto stesso di essere aperti/e ad accogliere e "ascoltare" la chiamata. Questa grazia suscita la libertà di rispondere e rende possibile una risposta libera. Questa radicalità dell'atto di rispondere deve essere "messa in pratica" nel corso della vita e in tutte le dimensioni.
Cosa vuol dire rinnegare se stessi?
Questo è il significato dell'evangelico "rinnegare se stesso" che non ha niente a che vedere con la repressione o la negazione dell'umano (dis-umanizzarsi), ma è la rinuncia a fare del proprio "io" il centro, la norma e lo scopo della propria vita. Prima di tutto, è necessario "rinunciare a se stessi", abdicare alla pretesa del dominio sulla propria vita. Ciò è possibile solo nella misura in cui Gesù entra e prende possesso senza ritorno della nostra vita.
Come vivere in questa ottica nella nostra civiltà?
La nostra cultura mette al primo posto il "successo professionale", l'ossessione della realizzazione. E' una cultura di "professioni", non di "vocazioni". Professione è sinonimo di lavoro, denaro, livello di vita e autorealizzazione. Si perde il senso della vocazione perchè si è perso il significato del mettere la propria vita a servizio degli altri. Per questo mancano "vocazioni" in tutti gli ambiti della vita umana e sociale. Si possono avere degli eccellenti professionisti in medicina senza la "vocazione" a essere medici.
La vocazione come opzione di vita, vita posta al servizio degli altri, suppone un'esperienza di esodo da se stessi, un uscire dall'io chiuso in se stesso per riceversi come "io pro-vocato" da Dio. E' necessario essere passati attraverso l'esperienza di questa perdita di sè per scoprire la gioia di realizzarsi "perdendosi", di conservare la vita donandola.
E' una questione di identità, inseparabile dalla qualità della vita.
Qual è il nucleo della vita religiosa apostolica?
Lo "stare con gli altri" (vita fraterna) per "essere inviati con gli altri" (missione) fa parte dell'identità (essere, stando con Gesù) di questo tipo di vita religiosa. La radice di questa esperienza è la chiamata di Gesù. Siamo amici nel Signore perchè siamo amici del Signore. E, nello stesso tempo, qualifica la missione: siamo inviati non come individui isolati, ma come "corpo apostolico". La chiamata di Dio mi precede e mi pro-voca, qualificando ogni giorno il mio "io". Un'esperienza di Dio che ci disloca incessantemente, facendosi uscire da noi stessi per gli altri.
Bisogna sentirsi chiamati per scegliere questo stile evangelico di vita. Non bastano le qualità umane e spirituali. Da sole non sono un criterio nè un "segno" di vocazione.
Ognuna delle vocazioni nella Chiesa ha una sua funzione nella comunità e deve essere valorizzata per la differenza che rappresenta. Perciò è necessario discernere la chiamata di Dio in ciascun caso. Non esiste una vocazione "superiore". La "migliore" vocazione è quella che Dio dà a ciascuno di scegliere, non quella che la persona sceglie in modo arbitrario.
La vita religiosa è una delle vocazioni possibili nella Chiesa. NOn è migliore ne peggiore delle altre. Perciò è decisivo avere la certezza che Dio chiama uno per questo tipo di vita.
Non basta avere inclinazioni, gusto, qualità,... Niente di questo è indizio di vocazione, di chiamata di Dio. Dal punto di vista umano, è indispensabile la maturità per fare un'opzione di vita. Le qualità hanno il loro posto, soprattutto per il profilo che caratterizza ciascun tipo di vocazione, ma è decisivo scoprire i segni di una vera chiamata. (stralci di articolo tratto dalla rivista "Testimoni", di Carlos Palacio)
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