Di che cosa fa parte il seminario; che cosa significa questo periodo?
«Il Signore fece i Dodici». Egli crea qualcosa, Egli fa qualcosa, si tratta di un atto creativo. Ed Egli li fece, «perché stessero con Lui e per mandarli» (cfr. Mc 3, 14): questa è una duplice volontà che, sotto certi aspetti, sembra contraddittoria. «Perché stessero con Lui»: devono stare con Lui, per arrivare a conoscerlo, per ascoltarlo, per lasciarsi plasmare da Lui; devono andare con Lui, essere con Lui in cammino, intorno a Lui e dietro di Lui. Ma allo stesso tempo devono essere degli inviati che partono, che portano fuori ciò che hanno imparato, lo portano agli altri uomini in cammino — verso la periferia, nel vasto ambiente, anche verso ciò che è molto lontano da Lui. E tuttavia, questi aspetti paradossali vanno insieme: se essi sono veramente con Lui, allora sono sempre anche in cammino verso gli altri, allora sono in ricerca della pecorella smarrita, allora vanno lì, devono trasmettere ciò che hanno trovato, allora devono farLo conoscere, diventare inviati. E viceversa: se vogliono essere veri inviati, devono stare sempre con Lui.
Quindi…
come sacerdoti dobbiamo uscire fuori nelle molteplici strade in cui si trovano gli uomini, per invitarli al suo banchetto nuziale. Ma lo possiamo fare solo rimanendo sempre presso di Lui.
Ma il seminario è un tempo o un luogo?
Il seminario è dunque un tempo dell’esercitarsi; certamente anche del discernere e dell’imparare: Egli mi vuole per questo? La vocazione deve essere verificata, e di questo fa poi parte la vita comunitaria e fa parte naturalmente il dialogo con le guide spirituali che avete, per imparare a discernere ciò che è la sua volontà
Un tempo di discernimento, di apprendimento, di chiamata... E poi, naturalmente, in quanto tempo dell’essere con Lui, tempo di preghiera, di ascolto di Lui. Ascoltare, imparare ad ascoltarlo veramente — nella Parola della Sacra Scrittura, nella fede della Chiesa, nella liturgia della Chiesa — ed apprendere l’oggi nella sua Parola. Imparare ad ascoltare — e così poterne parlare agli altri uomini.
Lo stare con Dio “serve” per realizzare la mia personalità sacerdotale?
(Non proprio). Lo stare personalmente con Cristo, con il Dio vivente, è una cosa; l’altra cosa è che sempre soltanto nel «noi» possiamo credere. La fede viene dall’ascolto cioè dalla parola vivente, dalle parole che gli altri rivolgono a me e che posso sentire; dalle parole della Chiesa attraverso tutti i tempi, dalla parola attuale che essa mi rivolge mediante i sacerdoti, i Vescovi e i fratelli e le sorelle. Fa parte della fede il «tu» del prossimo, e fa parte della fede il «noi». E proprio l’esercitarsi nella sopportazione vicendevole è qualcosa di molto importante; imparare ad accogliere l’altro come altro nella sua differenza, ed imparare che egli deve sopportare me nella mia differenza, per diventare un «noi», chiamare le persone ad entrare nella comunanza della Parola ed essere insieme in cammino verso il Dio vivente.
Concretamente a quale “noi” siamo chiamati ad essere?
Al «noi» molto concreto, come lo è il seminario, come lo sarà la parrocchia, ma poi sempre anche il guardare oltre il «noi» concreto e limitato al grande «noi» della Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo, per non fare di noi stessi il criterio assoluto. Il «noi» è l’intera comunità dei fedeli, di oggi e di tutti i luoghi e tutti i tempi. Noi siamo Chiesa: Siamolo! Siamolo proprio nell’aprirci e nell’andare al di là di noi stessi e nell’esserlo insieme con gli altri!
In questo periodo di seminario su cosa dobbiamo maggiormente concentrarci?
La preparazione al sacerdozio, il cammino verso di esso, richiede anzitutto anche lo studio è qualcosa di essenziale. San Pietro ha detto: «Siate sempre pronti ad offrire a chiunque vi domandi, come risposta, la ragione, il logos della vostra fede» (cfr. 1Pt 3, 15).
Perché?
(Perché) il nostro mondo oggi è un mondo razionalistico e condizionato dalla scientificità, anche se molto spesso si tratta di una scientificità solo apparente. Ma lo spirito della scientificità, del comprendere, dello spiegare, del poter sapere, del rifiuto di tutto ciò che non è razionale, è dominante nel nostro tempo. C’è in questo pure qualcosa di grande, anche se spesso dietro si nasconde molta presunzione ed insensatezza. La fede non è un mondo parallelo del sentimento, che poi ci permettiamo come un di più, ma è ciò che abbraccia il tutto, gli dà senso, lo interpreta e gli dà anche le direttive etiche interiori, affinché sia compreso e vissuto in vista di Dio e a partire da Dio. Per questo è importante essere informati, comprendere, avere la mente aperta, imparare.
Quindi…
Studiare è essenziale: soltanto così possiamo far fronte al nostro tempo ed annunciare ad esso il logos della nostra fede. Studiare anche in modo critico — nella consapevolezza, appunto, che domani qualcun altro dirà qualcosa di diverso — ma essere studenti attenti ed aperti ed umili, per studiare sempre con il Signore, dinanzi al Signore e per Lui.
(sintesi del discorso a braccio pronunciato il 24 settembre scorso da Benedetto XVI, nella cappella del seminario di Friburgo, incontrandosi con una sessantina di seminaristi dell’arcidiocesi)
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