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lunedì, gennaio 16

“Ma perché i preti non si sposano?”


Non sarebbe più opportuno che essi condividessero con tutti gli altri battezzati le vicende di ogni giorno relative alla famiglia, alla crescita dei figli, all’interazione fra i coniugi?
Il celibato nella vita dei presbiteri non è fondamentalmente un obbligo né corrisponde ad un esatto monito evangelico: leggendo le pagine degli scritti Sinottici e di San Giovanni si evince infatti come Pietro e gli altri apostoli fossero legittimamente uniti a consorte, senza che questo comportasse riprovazione alcuna da parte i Gesù o ostacolasse l’andamento della vita apostolica. Anche nei primi secoli della Chiesa i presbiteri erano soliti contrarre matrimonio mentre Sant’Agostino diventerà Vescovo per ordinare prete successivamente il proprio figlio.
In più, anche oggi si è disposta un’eccezione all’obbligo del celibato per tutti quei sacerdoti di rito greco convertitisi al cattolicesimo dalla Chiesa Ortodossa; viste le loro origini culturali ed etniche, per essi il Vaticano riconosce oltre ad un Diritto proprio anche la possibilità di sposarsi, il che prova che la rinuncia alla vita sponsale non è effettivamente cosa originaria ne di per se costitutiva del sacerdozio in se medesimo.
Inoltre, essendo il matrimonio un elemento rientrante nell’ordine del diritto naturale e rispondente alla legittima tendenza dell’uomo di avere attrazione verso l’altro sesso ove trovare luogo di completamento,  non sarebbe affatto sconveniente che la dimensione sponsale potesse diventare comune prassi nella vita dei sacerdoti,
La vita sponsale non sarebbe poi così lesiva materialmente al ministero o al buon andamento della spiritualità del presbitero, che anzi avvalorerebbe la propria missione forte della completezza di un’adeguata esperienza familiare personale, che lo condurrebbe a nutrire maggiore comprensione verso determinati problemi della gente. Così del resto afferma anche San Paolo ai Tessalonicesi nelle sue esortazioni intorno alla vita e al ruolo del Vescovo (1Tm 3, 1 – 7), e del resto nel programma di formazione dei seminaristi e dei candidati alla speciale consacrazione religiosa è sempre stata prassi guardare con molto sospetto chi dovesse avvertire eccessivo distacco verso la prospettiva del matrimonio e della famiglia, sottolineando al contrario che la scelta di vita celibataria è ben lungi dal comportare freddezza o sdegno verso la prospettiva del matrimonio o peggio ancora dalla misoginia e chi aspira al sacerdozio può e deve considerare la dimensione sponsale come un bene in tutti i casi apprezzabile. Nutrire ribrezzo, indifferenza e ritrosia nei confronti del matrimonio in determinati casi è anche motivo sufficiente per non essere ammessi all’ordinazione sacerdotale, giacchè in questo caso si opterebbe per il presbiterato quale via di ripiego in seguito a specifiche fobie o delusioni amorose. Nel Nuovo Testamento si vedono ambedue le scelte corrispondono ad un progetto di perfezione cristiana da perseguirsi come indirizzo di provenienza divina, sicché  l’apostolo Paolo può affermare che, fermo restando che la vocazione primaria del cristiano è quella della vita di perfezione in Cristo (la santità) questa è obiettivo che è possibile a raggiungersi nella duplice dimensione facoltativa del matrimonio e della vita celibataria.
Non è importante infatti restare celibe, né sposarsi, quanto piuttosto realizzare la vera volontà di Dio: “Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito… “ (vv. 33 – 34). Cosicché “chi non si sposa si occupa delle cose del Signore, come piacere al Signore. Chi è sposato si occupa delle cose del mondo, come piacere alla moglie. (1 Cor 7, 32 - 33)”.
Anche negli insegnamenti di Gesù vi sono riferimenti di approvazione alla scelta di vita da “eunuchi per il regno dei cieli”(Mt 19, 10 -12) a condizione tuttavia che questa non risulti una scelta puramente arbitraria ma che corrisponda ad un piano di predestinazione divina esclusivamente riservato a “coloro ai quali è stato concesso”.
Si rileva così la risposta alla domanda ricorrente: i presbiteri e i religiosi osservano la rinuncia al matrimonio non già perché considerato riprovevole in se stesso, ma perché, forti di una speciale chiamata da parte del Signore vi sanno rinunciare in vista di una maggiore speditezza nella promozione della causa del Regno di Dio e di un rinnovato fervore apostolico. La dimensione celibataria, alla pari delle nozze, è infatti da decidersi solo nell’ottica della vocazione divina.

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