Gratis
mercoledì, dicembre 26
Decalogo della quotidianità
1. Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata, senza voler risolvere il problema della
mia vita tutto in una volta.
2. Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto: vestirò con sobrietà; non alzerò la
voce; sarò cortese nei modi; non criticherò nessuno; non pretenderò di
migliorare o di disciplinare nessuno tranne me stesso.
3. Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono
stato creato per essere felice non solo nell'altro mondo, ma anche in questo.
4. Solo per oggi mi adatterò alle circostanze senza pretendere che le circostanze si
adattino tutte ai miei desideri.
5. Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo a qualche lettura buona, ricordando
che come il cibo è necessario alla vita del corpo, così la buona lettura è
necessaria alla vita dell'anima.
6. Solo per oggi compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno.
7. Solo per oggi farò almeno una cosa che non desidero fare e se mi sentirò offeso nei miei
sentimenti, farò in modo che nessuno se ne accorga.
8. Solo per oggi mi farò un programma: forse non lo seguirò a puntino, ma lo farò. E mi
guarderò da due malanni: la fretta e l'indecisione.
9. Solo per oggi crederò fermamente, nonostante le apparenze contrarie, che la buona
Provvidenza di Dio si occupa di me come se nessun altro esistesse al mondo.
10. Solo per oggi non avrò timori.
In modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di
credere alla bontà.
Posso ben fare, per dodici ore, ciò che mi
sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare per tutta la vita.
"Basta a ciascun giorno il suo
affanno"
(Mt. 6,34)
(Papa Giovanni XXIII)
Preghiera per i sacerdoti
O Gesù, sommo ed eterno sacerdote, custodisci il tuo sacerdote dentro
il Tuo Sacro Cuore.
Conserva immacolate le sue mani unte che toccano ogni giorno il Tuo
Sacro Corpo.
Custodisci pure le sue labbra arrossate dal Tuo Prezioso Sangue.
Mantieni puro e celeste il suo cuore segnato dal Tuo sublime carattere
sacerdotale.
Fa che cresca nella fedeltà e nell’amore per Te e preservalo dal
contagio del mondo.
Col potere di trasformare il pane e il vino donagli anche quello di
trasformare i cuori.
Benedici e rendi fruttuose le sue fatiche e dagli un giorno la corona
della vita eterna.
S. Teresa di Gesù Bambino
I dieci Comandamenti degli gioia
- La gioia a Dio chiederai ogni mattina fedelmente.
- Calma e sorriso ostenterai anche se il cuore è dolente.
- Nel tuo intimo ripeterai: "Dio che mi ama è sempre presente".
- Senza posa, ti applicherai a scorgere il lato buono della gente.
- La tristezza allontanerai da te spietatamente.
- Lamenti e critiche eviterai; non vi è nulla di più deprimente.
- Al tuo lavoro ti adopererai di buona lena allegramente.
- I visitatori accoglierai sempre benevolmente.
- I sofferenti conforterai dimenticando te stesso totalmente.
- Spargendo ovunque la gioia l'avrai anche tu sicuramente.
Il mio credo nella preghiera
Credo che la preghiera non è
tutto,
ma che tutto deve cominciare dalla preghiera:
perché l'intelligenza umana è troppo debole;
perché l'uomo che agisce senza Dio
non dà mai il meglio di se stesso.
Credo che Gesù Cristo, dandoci il "Padre Nostro"
ci ha voluto insegnare che la preghiera è amore.
Credo che la preghiera non ha bisogno di parole,
perché l'amore non ha bisogno di parole.
Credo che si può pregare
tacendo, soffrendo, lavorando,
ma il silenzio è preghiera solo se si ama,
la sofferenza è preghiera solo se si ama,
il lavoro è preghiera solo se si ama.
Credo che non sapremo mai con esattezza
se la nostra è preghiera o non lo è.
Ma esiste un test infallibile della preghiera:
se cresciamo nell'amore,
se cresciamo nel distacco dal male,
se cresciamo nella fedeltà alla volontà di Dio.
Credo che impara a pregare
solo chi impara a tacere davanti a Dio.
Credo che impara a pregare solo
chi impara a resistere al silenzio di Dio.
Credo che tutti i giorni dobbiamo
chiedere al Signore il dono della preghiera,
perché chi impara a pregare impara a vivere.
(Un monaco nel mondo)
ma che tutto deve cominciare dalla preghiera:
perché l'intelligenza umana è troppo debole;
perché l'uomo che agisce senza Dio
non dà mai il meglio di se stesso.
Credo che Gesù Cristo, dandoci il "Padre Nostro"
ci ha voluto insegnare che la preghiera è amore.
Credo che la preghiera non ha bisogno di parole,
perché l'amore non ha bisogno di parole.
Credo che si può pregare
tacendo, soffrendo, lavorando,
ma il silenzio è preghiera solo se si ama,
la sofferenza è preghiera solo se si ama,
il lavoro è preghiera solo se si ama.
Credo che non sapremo mai con esattezza
se la nostra è preghiera o non lo è.
Ma esiste un test infallibile della preghiera:
se cresciamo nell'amore,
se cresciamo nel distacco dal male,
se cresciamo nella fedeltà alla volontà di Dio.
Credo che impara a pregare
solo chi impara a tacere davanti a Dio.
Credo che impara a pregare solo
chi impara a resistere al silenzio di Dio.
Credo che tutti i giorni dobbiamo
chiedere al Signore il dono della preghiera,
perché chi impara a pregare impara a vivere.
(Un monaco nel mondo)
Stare con gli ultimi
PRENDERE COSCIENZA
che i poveri esistono ancora
e sono più numerosi di quel che si pensa.
LASCIARSI COINVOLGERE
dalla loro vita.
Prendere la polvere sollevata dai loro passi.
Guardare le cose dalla loro parte:
mettersi in corpo "l'occhio del povero".
PER SMANIA DI COMUNIONE
non per smania di evidenzia.
Farsi ultimi
è una vocazione che comporta rinunce.
Non è un espediente per stare sulla cresta dell'onda.
AIUTARLI A CRESCERE
Significa condividere la loro povertà,
rendendoli protagonisti del loro riscatto,
non terminali delle nostre esuberanze caritative
o destinatari inerti delle nostre strutture assistenziali.
RISALIRE ALLA CAUSA
Farsi ultimi
significa conoscere i meccanismi perversi
che generano la sofferenza.
Il volontariato emotivo non è sufficiente.
Occorrono la competenza e lo studio.
Si comprenderà allora
che le cause di tante situazioni disumane
non sono fatalità, ma hanno un nome ben preciso.
LOTTARE SU DUE FRONTI
Quando poi l'analisi puntigliosa
avrà messo a nudo le cause della povertà,
bisogna avere la capacità di lottare su due fronti:
sulle radici del male sociale per rimuoverle,
e sui frutti amari dell'ingiustizia,
per aiutare
di volta in volta
le vittime che sono costrette a nutrirsene.
ALIMENTARSI DELLA PAROLA...
Occorre riscoprire la lettura dei grandi testi biblici
che parlano della liberazione dei poveri,
dall'Esodo ai Profeti,
nelle cui righe vibra tutta la passione di Dio
che non ha mai perso la fiducia nei poveri,
e non li ha mai trattati
come un popolo di straccioni,
ma li ha amati sempre "con viscere di misericordia",
fino a quando anche Lui
"da ricco che era, si è fatto povero".
PER ALIMENTARE IL CORAGGIO
La scelta degli ultimi
esige alla lunga un grande coraggio.
Il coraggio
di collaborare con le istituzioni pubbliche
e di precederle sulla battuta
intuendo risposte nuove a bisogni nuovi.
Il coraggio
di quella violenza ermeneutica della Parola di Dio,
che senza darci le smanie del guerrigliero
ci abilita a non aver paura dei potenti della terra.
Il coraggio
di creare continuamente spine nel fianco
della buona coscienza pubblica,
rivelando con caparbietà
i bisogni scoperti e quelli emergenti.
CONFIDANDO IN MARIA
La Madonna,
povera di Javhè,
che ha cantato
il riscatto
degli umili,
ci dia la forza di confidare negli ultimi.
E ciascuno di noi,
pur nella fatica del viaggio
e nelle delusioni della vita,
possa sentirsi confortato
dalle parole di sant'Agostino:
"Aiuta il prossimo
con il quale cammini,
per poter giungere
a Colui
con il quale desideri rimanere".
(don Tonino Bello)
martedì, dicembre 25
Volgere lo sguardo verso Dio
La preghiera è come un volo verso Dio. Immagina, quando ti metti a pregare, di iniziare a fare un volo, in aereo.
Immagina di essere tu il pilota...Allora sei pronto?
Attento, però: ci sono delle regole che vanno rispettate.
- Prendi posto, allaccia le cinture, metti il casco... Non puoi pregare se prima non ti raccogli, non fai silenzio e non ti sintonizzi.
- Decolla, prendi quota... Pregare è entrare nel mondo di Dio.
- Porta al massimo i motori... Senza lo Spirito Santo non puoi far nulla: invocalo!
- Rimani in quota e punta dritto alla méta... Sii certo che Gesù ti vuole bene da morire, ti aspetta e ti accoglie così come sei!
- Apri il contatto con la torre di controllo, ma innanzitutto ascolta... Gesù è l'amico che vuole confidarti tutto quello che sa: tu ascolta le sue confidenze!
- Tieni aperto il contatto: rispondi!... Dai del tu a Dio, dialoga con semplicità e spontaneità: Lui ti ascolta!
- Fai il volo con tutti i bagagli... Prega con tutto te stesso, con tutte le tue preoccupazioni e con il tuo corpo!
- Attento ai vuoti d'aria, alle tempeste e al freddo!... Non scoraggiarti: anche nei momenti in cui ti sembra di non combinare nulla, stai pregando!
- Prendi il ritmo giusto... Prega senza fretta e scandendo bene le parole!
- Fai attenzione all'atterraggio... La preghiera non è una fuga. Rientra nella vita normale avendo fatto il pieno.
BUON VIAGGIO
Vivere con Stile
LE MAGNIFICHE REGOLE DI UN RAGAZZO DAI 12 AI 18 ANNI
1) La famiglia non è una mucca da mungere né un nido da sfruttare.
Voglio sentirmi anch’io responsabile della sua felicità!
2) Non mi accorgo solo quando la minestra è salata, ma anche quando è
buona per ringraziare chi me l’ha preparata.
3) So che la mamma ed il papà sono esseri umani. Anche loro possono
avere momenti di debolezza, di stanchezza, di nervosismo.
4) Non sono brevissimo quando telefono dal mio cellulare e lunghissimo
quanto telefono da casa.
5) Quando esco saluto: “Ciao!”, “Vi telefonerò senz’altro!”
6) Quando rientro non porto un muso lungo.
7) Non mi chiudo a riccio, ma parlo. So che il silenzio ferisce.
8) Non considero il papà come un portafogli e la mamma come una serva
che deve rifarmi il letto.
9) Ascolto i genitori nelle questioni importanti. E’ vero che sono
libero, però desidero il loro parere.
10) Non voglio essere come il paguro bernardo che vive sfruttando le
risorse altrui. Ad un certo momento voglio mantenermi da solo. Non è giusto
farmi coccolare in eterno!
(da “Le
regole ci vogliono” di Pino Pellegrino)
I frutti dello Spirito
sono:
- AMORE: ci permette di stabilire un rapporto nuovo, autentico, con Dio e con il Prossimo.
- GIOIA: è il gioire dell'altro: "Tu sei la mia gioia, perché sei la gioia di Dio".
- PACE: è la consegna del sapersi amati da Dio, dell'essere luogo del riposo di Dio.
- PAZIENZA: è la capacità di perseverare nell'amore, anche di fronte a situazioni pesanti.
- BONTA': è disponibilità, anzi la tendenza a promuovere il bene in tutti e dappertutto.
- FEDELTA': significa essere affidabili e costanti nell'amore sempre.
- MITEZZA: è l'atteggiamento sereno, rispettoso, non arrogante, non severo.
- DOMINIO DI SE': è la capacità di frenare le proprie tendenze egoistiche.
Siate santi
Sacerdoti, io non sono prete, e non sono mai stato degno di poterlo diventare. Come fate a vivere dopo aver celebrato la Messa? Ogni giorno avete il Figlio di Dio nelle vostre mani. Ogni giorno avete una potenza che Michele Arcangelo non ha. Con la vostra bocca voi trasformate la sostanza del pane in quella del Corpo di Cristo; voi obbligate il Figlio di Dio a scendere sull'altare. Siete grandi, siete creature immense. Le più potenti che possono esistere.
Sacerdoti, ve ne scongiuriamo, siate santi. Se siete santi voi, noi siamo salvi. Se non siete santi voi, siamo perduti. Sacerdoti, noi vi vogliamo ai piedi dell'altare. (Enrico Medi)
Tre verbi
Ecco tre verbi per un itinerario spirituale del cristiano, un vero programma di vita:
- ASCOLTARE: vi è impegnata la mente, l'intelligenza, la virtù dell'obbedienza. Il vero ascolto si fa obbedienza.
- CONOSCERE: E' impegnato il cuore. Non si conosce veramente se non ciò che si ama. E' l'amore che è capace di andare oltre ad ogni evidenza. E' un conoscere dal di dentro, dall'intimo. E' un conoscere l'Essere. E' una conoscenza nell'Amore.
- SEGUIRE: E' impegnata la Volontà, capace di far muovere i miei passi dietro Colui che ho ascoltato, amato (Sal 23)
Nemico Insidioso
"Non ferisce la schiena, ma carezza il ventre; non confisca i beni per darci la vita, ma arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà gettandoci in prigione, ma verso la schiavitù onorandoci nel suo palazzo; non colpisce i fianchi, ma prende possesso del cuore; non taglia la testa con la spada, ma uccide l'anima con l'ora e il denaro". (Ilario di Poitiers)
Conversione
Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quello che posso cambiare, e la saggezza di saper distinguere le une dalle altre.
(Friedrich Christoph Oetinger)
L'amore si prova nelle azioni, più esse ci costano, più grande è la prova del nostro amore.
(Madre Teresa di Calcutta)
Natale 2012
Oggi è Natale ed è nato il Salvatore! Ma tutto questo non è un ricordo ma una profezia, non è una festa sentimentale ma il giudizio sul mondo, perché Dio va verso l'umanità. E' tutto un movimento: il grande verso il piccolo, dal cielo verso il basso, da una città ad una grotta... e la storia ricomincia dagli ultimi. E' una storia in cui nasce un bambino, Dio si fa bambino, un granellino di sabbia che entra nel perfetto ingranaggio del mondo, nella storia dell'uomo.
La STALLA e la MANGIATOIA sono il NO alla mondanità; alla fame di potere; alla logica del "secondo me..."; al buonismo che aiuta i poveri ma stando bene attenti a non farsi toccare, contaminare; alla logica del "così vanno le cose", del "così fan tutti, ciò che conta è non fare male a nessuno", dimenticandosi che il male lo faccio a me stesso che sono figlio di Dio, tempio di Dio; alla logica del "perdono ma non dimentico".
Dio entra nel mondo dal punto più basso perché nessuna creatura sia esclusa, tutti siano raggiunti dal suo abbraccio che salva. Dio ha scelto la povertà e la nudità, nulla di spettacolare; ha scelto la nudità del cuore, la povertà dell'umiltà, ha scelto di rivelarsi nel nascondimento agli emarginati della società, solo loro possono e riescono ad accoglierlo.
Dio è un Re in esilio, uno straniero fuori dalla città e a Natale fa ritorno alla sua casa; perchè la terra, prima di essere degli uomini, è di Dio.
Dio s'è fatto portatore di carne perchè l'uomo possa divenire portatore di Spirito.
S'è fatto simile a me perché io lo accolga.
S'è fatto simile a me perché io lo rivesta.
Oggi si fa abbracciare da Maria perchè io possa credere a Lui e adorarLo. Oggi sono chiamato ad accogliermi così come sono, ad accogliere il mio passato e presente perchè solo così Dio abbraccia l'umanità.
Dio oggi c'invita a svegliarci ma non tanto con l'ora del cellulare, dei doveri e principi ma con l'ora dell'amore di Dio. Perché solo così posso crescere nell'amore, in un amore donato, spezzato, per annunciare a tutti che Dio ha occupato la sala centrale del proprio cuore e per proclamare la Buona Notizia: Betlemme e Gerusalemme sono sulla stessa strada. Sono il luogo dell'Amore Misericordioso di Dio che raggiunge ogni singolo uomo; sono le strade del riconoscimento della Tenerezza di Dio, della giustizia che va a braccetto col perdono, dell'abbraccio di Dio aperto sulla croce perché da lì ci giudicherà.
sabato, novembre 3
La preghiera è luce per l'anima
"La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l'anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.
Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall'amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell'universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.
La preghiera è luce dell'anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l'uomo. L'anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l'anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.
La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l'anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.
Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l'Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l'anima; chi l'ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.
Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza."
Dalle « Omelie » di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)giovedì, novembre 1
Essere Chiesa
Il centro del popolo di dio è l'annuncio della Morte, Resurrezione e Ascensione di Gesù, fatto sotto l'azione dello Spirito Santo. Ascoltando questo annuncio, la fede s'accende, perchè l'uomo notifica che Gesù è morto per i nostri peccati, è resuscitato per la nostra giustificazione, quindi non c'è Salvezza fuori di Lui. Essere Chiesa, vuol dire, essere capaci di trafiggere il cuore, saper condividere le situazioni della vita, collocandovi la parola di Dio, che provoca, consola, genera adesione.
Il primo terreno in cui gettare la Parola di Dio, non sono le domande esistenziali, ma la vita quotidiana, con tutti i momenti fondamentali, forti (vita, morte, matrimonio, consacrazione a Dio). Qui la parola cristiana sa dire qualcosa all'alfabeto della vita umana; ciò che conta non è dare risposte ma partire dalla vita quotidiana, parlare al cuore di chi ascolta e non "regalare" risposte preconfezionate. Il vero annuncio di Dio, nasce se il popolo di dio, ogni 8 giorni si ritrova per incontrare il Signore risorto. La comunicazione vera e profonda, tante volte nasce dall'ascolto, dal "perdere tempo", senza cadere nella tentazione di dare subito la risposta, anche se è quella giusta e vera. Invece la capacità di amare ci abilita ad essere compagni di viaggio, ad apprezzare il bene che c'è nella società, a saper valutare il positivo nell'umanità, ad essere aperti al dialogo, liberi dai pregiudizi, a valorizzare le diversità, aspettando il momento giusto, quando è docile ad accogliere, all'ascolto, per correggere, per purificare le motivazioni.
Lc 10,25-37
Questa parabola non da esempi da seguire, ma provoca un'ulteriore ricerca per buttare giù i luoghi comuni, le barriere, perchè sembra che il segreto stia nell'amare, perchè di amore si può morire, ma di essere amato si vive.
In questo brano Gesù proclama essenzialmente la misericordia e la bontà di Dio, a cui ognuno di noi deve dare una risposta che consiste nell'amare Dio in modo totale ed esclusivo, nell'amore il prossimo come Dio lo ama.
In fatti l'amore verso Dio si manifesta in un amore concreto verso i fratelli, soprattutto verso i bisognosi, gli emarginati, perchè la nostra fede ha bisogno di una prassi ispirata dall'amore. Non basta una conoscenza tecnica, ma è necessario una coerenza nel condurre la propria vita.
C'è bisogno di compassione, cioè di solidarietà con colui che soffre. L'amore non può ridursi al fare, ad una buona organizzazione di strutture caritative. Il giusto punto di partenza è che Dio solo è amore, noi abbiamo amore, solo se lo riceviamo da una fonte più grande di noi. Per amare viene richiesto un nostro cammino di conversione continua; sapremo amare solo se cogliamo l'amore di Dio per noi, solo dopo che saremo guariti da Dio Amore sapremo accogliere gli altri.
Solennità di Tutti i Santi
Per secoli l'idea comune riguarda alla santità, e ai santi, consisteva nel continuo distacco dal mondo per una perfezione rarefatta. Con il Concilio Vaticano II, abbiamo capito che sono chiamati tutti i cristiani alla santità, e ad essere santi, cioè ad essere testimoni del Vangelo al cuore del mondo. L'elemento fondamentale della santità è la comunione, simile ad una fusione, come il sale o il lievito, con la realtà in cui viviamo tale da trasformare il mondo. Solo così riusciremo a vedere l'umanità attraverso Gesù, che ci mostra la santità quotidiana che rende bella e buona la nostra umanità. CHI E' IL SANTO?
- colui che vive pienamente il suo essere uomo, pienamente il suo essere battezzato, pienamente la sua vocazione matrimoniale o di consacrazione.
- colui che porta impresso il sigillo di Dio, cioè vive in questo mondo, lo ama ma sa di non appartenergli.
- colui che mostra Gesù vero Dio. Il mondo mostra i propri idoli, ognuno di noi costruisce i propri idoli, ma solo in Dio si trova la vera Salvezza.
- colui che indossa le vesti candide e sta davanti all'Agnello, cioè coloro capaci di vivere nella dignità di figlio di Dio, come creatura libera, sapendo che tutto è grazia di Dio, Lui solo è l'artefice di tutto; e solo con questo atteggiamento sarò rivestito di Bellezza e Grazia.
- colui che ha compreso e accettato il mistero del chicco: muore, feconda e matura in un paziente cammino, anche a prezzo della sofferenza. Il rischio è di rimanere sotto terra, plasmati dallo Spirito. Il male e la morte ci sono e ci saranno sempre, ma non mancheranno mai uomini che con la loro incessante preghiera d'intercessione alla Misericordia di Dio. Dio ama gli uomini che hanno il coraggio di pregare con le labbra e la vita che Egli è il Misericordioso, il Compassionevole. Dio ama l'uomo che ama il Sogno di Dio, già ora, nel proprio presente così com'è. I santi sono i nostri amici, sono uomini vivi e felici che fanno il tifo per noi. Come ad una corsa ciclistica, loro sono ai cigli delle strade della nostra e ci mostrano la via da percorrere per fare festa assieme.
domenica, ottobre 28
PREGHIERA PER LA FEDE
Signore, io credo: io voglio credere in Te.
O Signore, fa che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane.
O Signore, fa che la mia fede sia libera: cioè abbia il concorso personale della mia adesione, accetti le rinunce ed i doveri che essa comporta e che esprima l’apice decisivo della mia personalità: credo in Te, o Signore.
O Signore, fa che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane.
O Signore, fa che la mia fede sia libera: cioè abbia il concorso personale della mia adesione, accetti le rinunce ed i doveri che essa comporta e che esprima l’apice decisivo della mia personalità: credo in Te, o Signore.
O Signore, fa che la mia fede sia certa; certa d’una sua esteriore congruenza di prove e d’una interiore testimonianza dello Spirito Santo, certa di una sua luce rassicurante, d’una sua conclusione pacificante, d’una sua assimilazione riposante.
O Signore. fa che la mia fede sia forte; non tema le contrarietà dei problemi, onde è piena l’esperienza della nostra vita avida di luce; non tema le avversità di chi la discute, la impugna, la rifiuta, la nega; ma si rinsaldi nell’intima prova della Tua verità, resista alla fatica della critica, si corrobori nella affermazione continua sormontante le difficoltà dialettiche e spirituali, in cui si svolge la nostra temporale esistenza.
O Signore, fa che la mia fede sia gioiosa e dia pace e letizia al mio spirito, e lo abiliti all’orazione con Dio e alla consacrazione con gli uomini, così che irradi nel colloquio sacro e profano l’interiore beatitudine del suo possesso.
O Signore, fa che la mia fede sia operosa e dia alla carità le ragioni della sua espansione morale, così che sia vera amicizia con Te e sia in Te nelle opere, nelle sofferenze, nell’attesa della rivelazione finale, una continua testimonianza, un alimento continuo di speranza.O Signore. fa che la mia fede sia forte; non tema le contrarietà dei problemi, onde è piena l’esperienza della nostra vita avida di luce; non tema le avversità di chi la discute, la impugna, la rifiuta, la nega; ma si rinsaldi nell’intima prova della Tua verità, resista alla fatica della critica, si corrobori nella affermazione continua sormontante le difficoltà dialettiche e spirituali, in cui si svolge la nostra temporale esistenza.
O Signore, fa che la mia fede sia gioiosa e dia pace e letizia al mio spirito, e lo abiliti all’orazione con Dio e alla consacrazione con gli uomini, così che irradi nel colloquio sacro e profano l’interiore beatitudine del suo possesso.
O Signore, fa che la mia fede sia umile e non presuma fondarsi sull’esperienza del mio pensiero e del mio sentimento; ma si arrenda alla testimonianza dello Spirito Santo, e non abbia altra migliore garanzia che nella docilità alla Tradizione e all’autorità del Magistero della santa Chiesa. Amen. (Papa Paolo VI)
Perdono di Carlo Castagna
In Carlo Castagna non è il rancore a dominarlo, né il desiderio di vendetta, ma la volontà di perdonare chi gli ha brutalmente portato via gli affetti più cari. Di trovare spazio, nelle preghiere, per chi lo ha ferito così profondamente. Di accettare l’accaduto come parte di un disegno più grande, divino. Un atteggiamento che potrebbe apparire sconcertante, addirittura disumano.
Eppure Carlo Castagna, occhi lucidi e sguardo in basso, si rivela nella sua più autentica umanità quando rivive le fasi salienti della strage. La lucidità con cui ha appreso la notizia dei corpi sgozzati, il ritrovarsi ad affrontare una realtà che lo ha sconvolto, l’intuizione, rafforzata dalla fede solida della suocera, “Mamma Lidia”, che il perdono fosse la strada giusta da imboccare, quella che lo avrebbe risollevato.
Perché “non si può vivere macerati dall’odio”, e laddove “abbonda l’umiltà di riconoscersi come peccatori abbondano anche la misericordia divina e la grazia del perdono”. “Troviamo spazio nelle nostre preghiere per queste persone che ci hanno ferito”, sosteneva coraggiosamente “Mamma Lidia”. Perché “il Padre non vuole la morte dei peccatori e, anzi, più è grande la colpa, più è grande l’abbraccio divino”. “Il perdono rende liberi”, sottolinea Castagna, che confida nel ritorno della serenità dopo ogni sofferenza vissuta cristianamente.
La sua sofferenza è aver perso i suoi cari, la sua gioia è aver vissuto tanti anni al loro fianco. Castagna testimonia che “con l’aiuto del Padre si può anche amare il fratello che ti ha ferito”, incarnando l’esigenza dell’uomo di relazionarsi con Dio, l’abilità di accettare, con fede e consapevolezza, le conseguenza di un disegno che appare incomprensibile e ingiusto e, infine, la capacità del cristiano di perdonare.
Un messaggio di non poco conto durante il periodo sociale che stiamo vivendo, che ci fa ritornare prepotentemente alle ultime parole sulla croce di Gesù: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”. (Lc. 23,34). Il perdono, dunque, secondo l’intuizione di Castagna, è la via per guarire.
Eppure Carlo Castagna, occhi lucidi e sguardo in basso, si rivela nella sua più autentica umanità quando rivive le fasi salienti della strage. La lucidità con cui ha appreso la notizia dei corpi sgozzati, il ritrovarsi ad affrontare una realtà che lo ha sconvolto, l’intuizione, rafforzata dalla fede solida della suocera, “Mamma Lidia”, che il perdono fosse la strada giusta da imboccare, quella che lo avrebbe risollevato.
Perché “non si può vivere macerati dall’odio”, e laddove “abbonda l’umiltà di riconoscersi come peccatori abbondano anche la misericordia divina e la grazia del perdono”. “Troviamo spazio nelle nostre preghiere per queste persone che ci hanno ferito”, sosteneva coraggiosamente “Mamma Lidia”. Perché “il Padre non vuole la morte dei peccatori e, anzi, più è grande la colpa, più è grande l’abbraccio divino”. “Il perdono rende liberi”, sottolinea Castagna, che confida nel ritorno della serenità dopo ogni sofferenza vissuta cristianamente.
La sua sofferenza è aver perso i suoi cari, la sua gioia è aver vissuto tanti anni al loro fianco. Castagna testimonia che “con l’aiuto del Padre si può anche amare il fratello che ti ha ferito”, incarnando l’esigenza dell’uomo di relazionarsi con Dio, l’abilità di accettare, con fede e consapevolezza, le conseguenza di un disegno che appare incomprensibile e ingiusto e, infine, la capacità del cristiano di perdonare.
Un messaggio di non poco conto durante il periodo sociale che stiamo vivendo, che ci fa ritornare prepotentemente alle ultime parole sulla croce di Gesù: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”. (Lc. 23,34). Il perdono, dunque, secondo l’intuizione di Castagna, è la via per guarire.
mercoledì, settembre 26
PREGHIERA DEL BUONUMORE
Signore
donami una buona digestione
e anche qualcosa da digerire.
Donami la salute del corpo
e il buon umore necessario per mantenerla.
Donami, Signore, un'anima semplice
che sappia far tesoro di tutto cio' che e' buono
e non si spaventi alla vista del male
ma piuttosto trovi sempre il modo
di rimetter le cose a posto.
Dammi un'anima che non conosca la noia,
i brontolamenti, i sospiri, i lamenti
e non permettere
che mi crucci eccessivamente
per quella cosa troppo ingombrante
che si chiama "io".
Dammi, Signore, il senso del buon umore
concedimi la grazia
di comprendere uno scherzo
per scoprire nella vita un po' di gioia
e farne parte anche gli altri. Amen. (Thomas Moore)
lunedì, settembre 24
La libertà è partecipazione
[...] Ci insegnano che essere partecipi non significa stare aggrappati gli uni agli altri per ansia di solitudine, ma essere consapevoli di poter dividere e condividere una differenza (una convivialità delle differenze, come più volte ammetteva Tonino Bello) che ci fa unici e nello stesso tempo partecipi di un medesimo destino che ci vede neonati, adulti, morenti. [...] Ognuno di noi deve poi accorgersi che solo in una relazione di condivisione nasce e cresce la libertà di tutti, solo verso un anelito al bene comune si sperimenta la vera e giusta libertà, quella di essere tutti quanti, senza distinzione di razza, riconoscibili in quel passo paolino della lettera ai Galati: "Voi fratelli siete stati chiamati a libertà. [...] mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Gal 5,13-14). Essere liberi ha il suo grande respiro in quell'amore per il prossimo che è di per sè vincolante e limitativo, che obbliga a smussare certi angoli della nostra personalità, ad accettare le curve dell'altro; la strada nella e con la libertà è un cammino frammezzato da discese e salite, a volte disseminato di buche; nel riconoscimento della libertà che spetta a ogni essere umano si impara la partecipazione che dischiude la possibilità per una vita vera. Il "buon samaritano" possiede la giusta libertà che gli permette di prendersi cura di un estraneo senza nessun tornaconto personale, una grande libertà interiore di pura donazione; fu un uomo restituito a se stesso in un rapporto autentico con l'altro. (Milena Simonotti)
mercoledì, settembre 19
Ostie tra le mani
Ogni tanto accade che si finisce all’ospedale. Non è mai
bello, né piacevole, ma forse è più dura quando, a soffrire, non siamo noi, ma
un figlio. Magari piccolo piccolo, tanto da apparirci totalmente disarmato
dinnanzi al dolore. Quando un figlio si ammala, sentiamo cosa significa voler
più bene ad un altro, che a noi stessi.
In ogni modo, tutto è bene ciò che finisce bene, e così anche la permanenza del mio piccolo al san Matteo di Pavia, è già solo un ricordo. Forte rimane invece, nella memoria, un’altra esperienza. Accade che la dottoressa Gloria, che ha operato il mio piccolo, il giorno prima delle dimissioni, una domenica, mi porti vicino Pavia, a Tortona: “Vieni con me a vedere il piccolo Cottolengo…”.
Parto, senza sapere cosa incontrerò. Di questa istituzione non avevo mai sentito parlare. Conoscevo il Cottolengo di Torino, la storia straordinaria di questo sacerdote piemontese dell’Ottocento che aveva iniziato ad ospitare i malati rifiutati dagli ospedali civili. Ma di una struttura analoga, per bambini, non sapevo nulla.
“Qui – mi spiega Gloria, per prepararmi, prima di mostrarmi dal vivo la realtà- vengono accuditi bambini, di solito con bassa aspettativa di vita, che abbisognano di cure sub-intensive e che gli ospedali non possono tenere”.
Arrivati nella casa, ci apre suor Gabriella, un volto dolce e gentile. Ci porta subito a perlustrare la struttura. Non sa neppure chi sono, ma c’è in lei il desiderio di mostrarmi qualcosa che le è caro come la pupilla dei suoi occhi; e di far vedere alla dottoressa i piccoli pazienti, per qualche suggerimento, qualche consiglio, eventuali bisogni.
Il primo incontro è struggente: una bimba, malata di Sla, che mi sorride, dalla sua poltroncina, sui cui vive, immobilizzata… Sorride soprattutto ai maschi, mi dicono scherzando… Ma io non sono abituato ad una scena del genere, e non riesco a non piangere. Mi vengono in mente, subito, le parole di Gloria, la mia accompagnatrice, e medico: “Di fronte ai malati dobbiamo metterci in ginocchio”. E collego queste parole, comprendendole per la prima volta in vita mia, alla grande storia della carità cristiana, a tutti i santi che hanno accudito malati e sofferenti, dichiarandosi loro “servi”, sostenendo di vedere in ognuno di loro Cristo stesso sofferente. Capisco quello che scriveva suor Scolastica Piano meditando la missione cottolenghina: “Nella Piccola Casa o si è ostie o ostie si hanno tra le mani, tutto il giorno”.
Di fronte a quella bambina vorrei inginocchiarmi, baciarle le manine e i piedini: in quella sua sofferenza innocente vorrei di lavare la mia miseria; vorrei pregare lei, crocifissa al legno di una sedia, di pregare per me. Dopo di lei, ne vedo tanti altri: sono italiani, rumeni, marocchini… La suora me li presenta tutti, li guarda con amore, così come fa Gloria, che li abbraccia, vigorosamente, con somma naturalezza. Io, invece, sono lì, impacciato, come bloccato di fronte alla loro “diversità”: ci vuole un po’ ad abituarsi, a capire che dietro la malattia o la deformità fisica, c’è una bellezza, non immediata, da ammirare e scoprire. “Bisogna guardarli come fossero ‘normali’ – mi spiegherà Gloria, nel viaggio di ritorno-;bisogna fare sentire loro affetto, perché se li prendi in braccio con gioia loro lo sentono, si rilassano, sono contenti…se invece sei uno stecco, loro non si sentono accolti, e rimangono perplessi”. “Loro, proseguirà, ascoltano il tono della nostra voce, capiscono chi gli vuole bene, provano dolore, ma anche gioia e sollievo…”. Mi è più chiaro, ora, quello che ci hanno mostrato con orgoglio la suora ed il giovane fisioterapista, entrambi così attenti alle “ostie” che hanno tra le mani: il prato dove i bambini incapaci di muoversi vengono sdraiati, perché provino sollievo fisico; la sala per la musica, per rilassarli; la vasca modernissima, in cui i bambini vengono distesi e avvolti da teli che contengono acqua e che in modo incredibile sollevano e avvolgono il corpo, impedendogli di percepire la gravità e rendendolo per un po’ leggerissimo…
Ripenso a quei bimbi: non sono abbandonati in un angolo, quasi si aspettasse la loro morte (che certo, per molti, è dietro l’angolo). Vengono lavati, puliti, vestiti decorosamente; e poi ci sono i volontari che li abbracciano, gli parlano…; i medici come Gloria che accorrono, magari per curare solo un piccolo “dettaglio” curabile; i donatori che permettono alla struttura, con le loro offerte, di sopravvivere…
Tanto dolore e tanto bene, nello stesso luogo. Lo scandalo della croce e la letizia cristiana, che si guardano. Scandalo e follia, certamente, come la condizione umana. Croce e resurrezione; prova e speranza; dolore e amore; sacrificio e gioia. Io, lì, vorrei baciare senza posa quella bimba che per prima ho incontrato. Vorrei baciare le mani di quella suora che passa lì, tutta la sua vita, certa che l’amore non è mai inutile; certa che quei corpi malati avvolgono anime immortali, di fratelli immortali. E vorrei baciare anche la dottoressa che ha sacrificato la domenica per me e per quei bimbi. Ma non sta bene, per cui mi limito a baciare la tomba di don Orione, subito fuori dalla casa, nella Chiesa lì accanto. San Luigi, prega per me.
Francesco Agnoli, Il Foglio, 2 agosto 2012
In ogni modo, tutto è bene ciò che finisce bene, e così anche la permanenza del mio piccolo al san Matteo di Pavia, è già solo un ricordo. Forte rimane invece, nella memoria, un’altra esperienza. Accade che la dottoressa Gloria, che ha operato il mio piccolo, il giorno prima delle dimissioni, una domenica, mi porti vicino Pavia, a Tortona: “Vieni con me a vedere il piccolo Cottolengo…”.
Parto, senza sapere cosa incontrerò. Di questa istituzione non avevo mai sentito parlare. Conoscevo il Cottolengo di Torino, la storia straordinaria di questo sacerdote piemontese dell’Ottocento che aveva iniziato ad ospitare i malati rifiutati dagli ospedali civili. Ma di una struttura analoga, per bambini, non sapevo nulla.
“Qui – mi spiega Gloria, per prepararmi, prima di mostrarmi dal vivo la realtà- vengono accuditi bambini, di solito con bassa aspettativa di vita, che abbisognano di cure sub-intensive e che gli ospedali non possono tenere”.
Arrivati nella casa, ci apre suor Gabriella, un volto dolce e gentile. Ci porta subito a perlustrare la struttura. Non sa neppure chi sono, ma c’è in lei il desiderio di mostrarmi qualcosa che le è caro come la pupilla dei suoi occhi; e di far vedere alla dottoressa i piccoli pazienti, per qualche suggerimento, qualche consiglio, eventuali bisogni.
Il primo incontro è struggente: una bimba, malata di Sla, che mi sorride, dalla sua poltroncina, sui cui vive, immobilizzata… Sorride soprattutto ai maschi, mi dicono scherzando… Ma io non sono abituato ad una scena del genere, e non riesco a non piangere. Mi vengono in mente, subito, le parole di Gloria, la mia accompagnatrice, e medico: “Di fronte ai malati dobbiamo metterci in ginocchio”. E collego queste parole, comprendendole per la prima volta in vita mia, alla grande storia della carità cristiana, a tutti i santi che hanno accudito malati e sofferenti, dichiarandosi loro “servi”, sostenendo di vedere in ognuno di loro Cristo stesso sofferente. Capisco quello che scriveva suor Scolastica Piano meditando la missione cottolenghina: “Nella Piccola Casa o si è ostie o ostie si hanno tra le mani, tutto il giorno”.
Di fronte a quella bambina vorrei inginocchiarmi, baciarle le manine e i piedini: in quella sua sofferenza innocente vorrei di lavare la mia miseria; vorrei pregare lei, crocifissa al legno di una sedia, di pregare per me. Dopo di lei, ne vedo tanti altri: sono italiani, rumeni, marocchini… La suora me li presenta tutti, li guarda con amore, così come fa Gloria, che li abbraccia, vigorosamente, con somma naturalezza. Io, invece, sono lì, impacciato, come bloccato di fronte alla loro “diversità”: ci vuole un po’ ad abituarsi, a capire che dietro la malattia o la deformità fisica, c’è una bellezza, non immediata, da ammirare e scoprire. “Bisogna guardarli come fossero ‘normali’ – mi spiegherà Gloria, nel viaggio di ritorno-;bisogna fare sentire loro affetto, perché se li prendi in braccio con gioia loro lo sentono, si rilassano, sono contenti…se invece sei uno stecco, loro non si sentono accolti, e rimangono perplessi”. “Loro, proseguirà, ascoltano il tono della nostra voce, capiscono chi gli vuole bene, provano dolore, ma anche gioia e sollievo…”. Mi è più chiaro, ora, quello che ci hanno mostrato con orgoglio la suora ed il giovane fisioterapista, entrambi così attenti alle “ostie” che hanno tra le mani: il prato dove i bambini incapaci di muoversi vengono sdraiati, perché provino sollievo fisico; la sala per la musica, per rilassarli; la vasca modernissima, in cui i bambini vengono distesi e avvolti da teli che contengono acqua e che in modo incredibile sollevano e avvolgono il corpo, impedendogli di percepire la gravità e rendendolo per un po’ leggerissimo…
Ripenso a quei bimbi: non sono abbandonati in un angolo, quasi si aspettasse la loro morte (che certo, per molti, è dietro l’angolo). Vengono lavati, puliti, vestiti decorosamente; e poi ci sono i volontari che li abbracciano, gli parlano…; i medici come Gloria che accorrono, magari per curare solo un piccolo “dettaglio” curabile; i donatori che permettono alla struttura, con le loro offerte, di sopravvivere…
Tanto dolore e tanto bene, nello stesso luogo. Lo scandalo della croce e la letizia cristiana, che si guardano. Scandalo e follia, certamente, come la condizione umana. Croce e resurrezione; prova e speranza; dolore e amore; sacrificio e gioia. Io, lì, vorrei baciare senza posa quella bimba che per prima ho incontrato. Vorrei baciare le mani di quella suora che passa lì, tutta la sua vita, certa che l’amore non è mai inutile; certa che quei corpi malati avvolgono anime immortali, di fratelli immortali. E vorrei baciare anche la dottoressa che ha sacrificato la domenica per me e per quei bimbi. Ma non sta bene, per cui mi limito a baciare la tomba di don Orione, subito fuori dalla casa, nella Chiesa lì accanto. San Luigi, prega per me.
Francesco Agnoli, Il Foglio, 2 agosto 2012
Liberare il nostro spirito
Il nostro spirito è ingombro è come soffocato da ogni specie di sogni assurdi che non si realizzano mai e che non ci avvicinano affatto alle realtà del mondo; da ogni specie di curiosità e di questioni vane che ci agitano inutilmente senza vera scienza; da ogni specie di desideri e aspirazioni contrari alla vocazione che noi abbiamo riconosciuta e che non esprimono affatto la nostra vera attesa. Tutto questo è troppo.
L'uomo d'azione deve respingerlo, se vuol raggiungere i suoi obiettivi; e così pure, e ancora di più, deve fare l'uomo di preghiera, poichè per rimanere nella realtà deve attenersi all'autenticità della sua relazione con Dio vive e vero, santo e folgorante. (A.M. Besnard, La preghiera come rischio, p.24)
Il destino della vita
Non c'è vera vita dell'uomo, vita duratura, che valga la pena di vivere, se non entra nei sentimenti, nei pensieri, nella coscienza, nella storia, nella carne di Gesù; se non si lascia assimilare dai propositi, dai progetti, dalle beatitudini, dal mondo di amare, di vivere e di morire di Gesù.
Il destino dell'uomo si consuma e si perde nell'assimilazione a Gesù, alla sua vita, alla sua morte; se l'uomo non si nutre dell'Eucaristia e non porta il frutto dell'Eucaristia, che è essere come Gesù (con il suo spirito di Figlio, con il suo modo di donare la vita, con la sua povertà, con il distacco, con la sua libertà di cuore), non avrà mai in sè la vita. (C.M. Martini, Briciole dalla tavola della Parola, p. 89)
Il disegno di Dio
Osiamo dire "Padre" su tutto quello che succede in noi e attorno a noi perchè la sua parola cambia il senso e il segno di tutto, nella storia di ogni singolo uomo e donna e di tutta l'umanità. Mentre piangiamo la perdita dell'amico morto in giovane età ci rallegriamo che ci abbia preceduto nella pienezza della vita.
Ogni sofferente nel corpo e nello spirito suscita in noi sentimenti profondi di partecipazione della passione e al tempo stesso ci appare come partecipe della passione e della morte gloriosa con cui Gesù ha vinto in modo definitivo la morte.
Le catastrofi naturali in cui tante persone perdono i beni più essenziali e la stessa vita non sono segni di distrazione del Creatore e Signore dell'universo, ma misteriose accelerazioni nel compiersi del disegno di Dio. (P. Parisi, La cattedra dei piccoli e dei poveri, pp. 17-18)
La pienezza della fede
Non prestar fede a chi ti dice che l'orazione basta a tutto, nè a chi pretende che non è necessaria. Non creare opposizione fra l'orazione e qualunque altra espressione della vita di fede: il Regno di Dio non è mai diviso!
La tua ambizione sia questa: nulla ti sia estraneo di quello che forma la pienezza della fede. L'unica fede ha in sè tante ricchezze che non può rivelarle se non attraverso atti e tempi diversi; ma sta a te di voler conoscere tutte queste ricchezze, partecipare a tutte queste azioni, vivere tutti questi momenti.
Tutto ciò non è presuntuosa ambizione, ma giusta valorizzazione dei doni di Dio e saggezza spirituale. Il credente cioè non può ammettere le alternative, le divisioni, le opposizioni che possono venire proposte.
(A.M. Besnard, La preghiera come rischio, p.13)
Dio ci cerca per prima
L'uomo credente sa che la rivelazione di Dio precede e fonda la conoscenza che egli può avere di Lui. Così avviene che, non appena l'uomo si mette seriamente in ricerca di dio, scopre che Dio lo aveva già cercato prima, che nel suo amore libero e sempre preveniente già gli si era fatto incontro, chiamandolo all'alleanza con lui.
E' Dio che suscita, come risposta alla sua iniziativa, la ricerca e il desiderio dell'uomo; noi siamo semplicemente chiamati a rispondergli, ad accogliere la sua venuta nelle nostre vite per entrare in dialogo con lui, senza nasconderci.
E, meraviglia: in questo cammino non siamo soli; prima di essere il "mio Dio" egli è stato il Dio di altri.
(E. Bianchi, Dio, dove sei?, pp. 9-10)
Rinunciare a tutto per Dio
La prova di Abramo, non voluta da Dio, ma fornitagli dalla storia, perchè è la povera vita umana che può condurre in situazioni di prova, è quella in cui ogni uomo può imbattersi: prima o poi il credente sperimenta che occorre rinunciare a ciò che ha di più caro e su cui ha fondato la propria vita, per offrirlo puntualmente a Dio.
In caso contrario egli entra in una logica idolatrica, in base alla quale ripone la speranza non in Dio, ma nel suo dono, che finisce per diventare un inciampo. Sì, il credente impara con fatica a rinunciare liberamente ad ogni persona, ad ogni relazione, ad ogni cosa, perché nulla gli appartiene: Dio dona tutto, ma tutto a lui appartiene. (E. Binachi, Dio, dove sei?, p.52)
Cristiani credenti
Cristiani credenti, accogliamo nella Chiesa la parola di Dio. Diciamo a noi stessi che questa parola è vera, la comunichiamo ad altri come vera, la difendiamo nel confronto con chi dice che non è vera, che non è parola di Dio.
Oltre l'adesione intellettuale cerchiamo di capire e di gustare quello che la Parola ci rivela. E questo è un problema non solo di intelligenza: occorre aprire il cuore e fermarsi a considerare la grandezza e la bellezza di quel che Dio ci rivela.
Occorre far silenzio perché rimanendo nella corrente dei discorsi che facciamo e che ascoltiamo non è possibile cogliere la portata di quel che Dio rivolge a noi. Ci vuole il silenzio interiore per meravigliarsi che Dio sia Padre e ci abbia donato il suo Figlio. (P. Parisi, La cattedra dei piccoli e dei poveri, p.17)
La torta dell'amore
INGREDIENTI
4 uova... il cammino fidanzati
300gr di zucchero... il padre spirituale
170 gr di burro... impariamo a pensare insieme
250 gr di farina bianca e di fecola di patate... impariamo a scoprire ed accogliere i limiti dell'altro
Latte... la preghiera
Nutella... affettività e apertura alla vita
1 bustina di lievito... l'Amore di Dio
- Prendere una terrina: innanzitutto abbiamo scelto il contenitore del nostro matrimonio; la scelta di sposarci nella Chiesa.
- Mettere 4 uova intere: abbiamo intrapreso il cammino del corso fidanzati in preparazione al matrimonio nel quale abbiamo imparato il significato della promessa che pronunciamo oggi. Ci promettiamo di metterci sempre uno di fronte all'altro per affrontare la nostra vita insieme (PRO-METTERE: mettere davanti). Ci promettiamo di essere fedeli cioè di essere per l'altro la strada sicura su cui poter camminare, un sostegno certo. Ci promettiamo queste cose per sempre, ogni giorno, ogni mattina e in ogni momento della nostra vita.
- Aggiungere lo zucchero alle uova e mescolare fino ad ottenere un impasto omogeneo: abbiamo scelto un padre spirituale di coppia che ci guidasse in questo cammino. Lo zucchero dà sapore anche se i granelli tra i denti risultano fastidiosi. Il padre spirituale, pur essendo a volte un pò fastidioso perchè porta alla luce i limiti personali e di coppia per poterli affrontare e superare insieme, dà anche sapore perchè sprona sempre a camminare e rappresenta una presenza certa di sostegno nella preghiera riportandoci sempre all'essenziale e a Dio.
- Quando l'impasto risulta omogeneo aggiungere il burro precedentemente fuso sui fornelli e lasciato intiepidire: stiamo imparando a fondere i nostri pensieri, le nostre opinioni, i nostri stili di vita differenti per formare un nuovo modo di pensare e di vivere che rappresenti le fondamenta su cui costruire la nostra famiglia.
- In una ciotola mescolate la farina e la fecola; aggiungetela all'impasto mettendo circa 4 cucchiai alla volta: nel nostro percorso ci scontriamo continuamente con i nostri limiti e con le nostre insicurezze che ci fanno inciampare e rendono il cammino difficile. "Mescolare" a volte diventa faticoso e la tentazione, quando "l'impasto" si fa duro, è sempre quella di mollare. MA
- Quando l'impasto diventa faticoso da mescolare versate un pò di latte: la preghiera è la medicina perfetta che ci aiuta a rialzarci e continuare il nostro cammino insieme. Mettere Dio al primo posto e sceglierlo come guida ogni giorno significa per noi avere la certezza di non essere mai soli ed avere una roccia sicura che ci doni sostegno anche nei momenti più difficili che dovremo affrontare.
- Aggiungere 3 cucchiai di Nutella: abbiamo scelto di arrivare casti al matrimonio, l'affettività che ci lega è ricca di gesti, segni e doni che ci hanno fatto sempre sentire amati ogni giorno di più. L'espressione di amore più grande è rappresentata dalle fatiche che ognuno di noi ha affrontato per rendere felice l'altro: questa è stata per noi la manifestazione più bella dell'amore che proviamo l'uno per l'altro. Dopo aver vissuto un'esperienza al Piccolo Cottolengo di Tortona, sposandoci nella Chiesa oggi scegliamo un amore aperto alla vita e ci impegniamo di fronte a Dio ad accogliere, rispettare e difendere il dono della vita che viene da Lui.
- Mettere una bustina di lievito e infornare a 180° per un'ora circa: oggi ci affidiamo all'Amore di Dio che trasformerà il nostro amore dandogli nuova vita!
ATTENZIONE! Non aprite il forno durante la cottura: il dono della pazienza, saper aspettare i tempi di Dio perchè Egli possa terminare il suo progetto e dare nuova forma alle cose.
Iscriviti a:
Post (Atom)