Gratis

Gratis
GRATUITAMENTE AVETE RICEVUTO, GRATUITAMENTE DATE, (Mt 10,8b). Noi abbiamo solo il presente da vivere e in questo tempo ci giochiamo la nostra vita, la nostra eternità, il nostro destino (E. Olivero)

lunedì, gennaio 16

“Ma perché i preti non si sposano?”


Non sarebbe più opportuno che essi condividessero con tutti gli altri battezzati le vicende di ogni giorno relative alla famiglia, alla crescita dei figli, all’interazione fra i coniugi?
Il celibato nella vita dei presbiteri non è fondamentalmente un obbligo né corrisponde ad un esatto monito evangelico: leggendo le pagine degli scritti Sinottici e di San Giovanni si evince infatti come Pietro e gli altri apostoli fossero legittimamente uniti a consorte, senza che questo comportasse riprovazione alcuna da parte i Gesù o ostacolasse l’andamento della vita apostolica. Anche nei primi secoli della Chiesa i presbiteri erano soliti contrarre matrimonio mentre Sant’Agostino diventerà Vescovo per ordinare prete successivamente il proprio figlio.
In più, anche oggi si è disposta un’eccezione all’obbligo del celibato per tutti quei sacerdoti di rito greco convertitisi al cattolicesimo dalla Chiesa Ortodossa; viste le loro origini culturali ed etniche, per essi il Vaticano riconosce oltre ad un Diritto proprio anche la possibilità di sposarsi, il che prova che la rinuncia alla vita sponsale non è effettivamente cosa originaria ne di per se costitutiva del sacerdozio in se medesimo.
Inoltre, essendo il matrimonio un elemento rientrante nell’ordine del diritto naturale e rispondente alla legittima tendenza dell’uomo di avere attrazione verso l’altro sesso ove trovare luogo di completamento,  non sarebbe affatto sconveniente che la dimensione sponsale potesse diventare comune prassi nella vita dei sacerdoti,
La vita sponsale non sarebbe poi così lesiva materialmente al ministero o al buon andamento della spiritualità del presbitero, che anzi avvalorerebbe la propria missione forte della completezza di un’adeguata esperienza familiare personale, che lo condurrebbe a nutrire maggiore comprensione verso determinati problemi della gente. Così del resto afferma anche San Paolo ai Tessalonicesi nelle sue esortazioni intorno alla vita e al ruolo del Vescovo (1Tm 3, 1 – 7), e del resto nel programma di formazione dei seminaristi e dei candidati alla speciale consacrazione religiosa è sempre stata prassi guardare con molto sospetto chi dovesse avvertire eccessivo distacco verso la prospettiva del matrimonio e della famiglia, sottolineando al contrario che la scelta di vita celibataria è ben lungi dal comportare freddezza o sdegno verso la prospettiva del matrimonio o peggio ancora dalla misoginia e chi aspira al sacerdozio può e deve considerare la dimensione sponsale come un bene in tutti i casi apprezzabile. Nutrire ribrezzo, indifferenza e ritrosia nei confronti del matrimonio in determinati casi è anche motivo sufficiente per non essere ammessi all’ordinazione sacerdotale, giacchè in questo caso si opterebbe per il presbiterato quale via di ripiego in seguito a specifiche fobie o delusioni amorose. Nel Nuovo Testamento si vedono ambedue le scelte corrispondono ad un progetto di perfezione cristiana da perseguirsi come indirizzo di provenienza divina, sicché  l’apostolo Paolo può affermare che, fermo restando che la vocazione primaria del cristiano è quella della vita di perfezione in Cristo (la santità) questa è obiettivo che è possibile a raggiungersi nella duplice dimensione facoltativa del matrimonio e della vita celibataria.
Non è importante infatti restare celibe, né sposarsi, quanto piuttosto realizzare la vera volontà di Dio: “Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito… “ (vv. 33 – 34). Cosicché “chi non si sposa si occupa delle cose del Signore, come piacere al Signore. Chi è sposato si occupa delle cose del mondo, come piacere alla moglie. (1 Cor 7, 32 - 33)”.
Anche negli insegnamenti di Gesù vi sono riferimenti di approvazione alla scelta di vita da “eunuchi per il regno dei cieli”(Mt 19, 10 -12) a condizione tuttavia che questa non risulti una scelta puramente arbitraria ma che corrisponda ad un piano di predestinazione divina esclusivamente riservato a “coloro ai quali è stato concesso”.
Si rileva così la risposta alla domanda ricorrente: i presbiteri e i religiosi osservano la rinuncia al matrimonio non già perché considerato riprovevole in se stesso, ma perché, forti di una speciale chiamata da parte del Signore vi sanno rinunciare in vista di una maggiore speditezza nella promozione della causa del Regno di Dio e di un rinnovato fervore apostolico. La dimensione celibataria, alla pari delle nozze, è infatti da decidersi solo nell’ottica della vocazione divina.

I due vasi

Un'anziana donna cinese aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso all'estremità di un palo che lei portava sulle spalle.

Uno dei vasi aveva una crepa, mentre l'altro era perfetto, ed era sempre pieno d'acqua alla fine della lunga camminata dal ruscello a casa, mentre quello crepato arrivava mezzo vuoto.

Per due anni interi andò avanti così, con la donna che portava a casa solo un vaso e mezzo d'acqua.

Naturalmente, il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati, ma il povero vaso crepato si vergognava del proprio difetto, ed era avvilito di saper fare solo la metà di ciò quindi era stato fatto.  Dopo due anni che si rendeva conto del proprio amaro fallimento, un giorno parlò alla donna lungo il cammino: <<Mi vergogno di me stesso, perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l’acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso la vostra casa>>.

La vecchia sorrise: <<Ti sei accorto che ci sono dei fiori dalla tua parte del sentiero, ma non dalla parte dell' altro vaso? È perché io ho Sempre saputo del tuo difetto, perciò ho piantato semi di fiori dal tuo lato del sentiero ed ogni giorno, mentre tornavamo, tu li innaffiavi. Per due anni ho potuto raccogliere quei bei fiori per decorare la tavola. Se tu non fossi stato come sei, non avrei avuto quelle bellezze per ingentilire la casa>>.

Ognuno di noi ha il proprio specifico difetto. Ma sono la crepa e il difetto che ognuno ha, a far sì che la nostra convivenza sia interessante e gratificante. Bisogna prendere ciascuno per quello che è e vedere ciò che c'è di buono in lui. Perciò, miei "difettosi" amici, buona giornata e ricordatevi di annusare i fiori dal vostro lato difettoso del sentiero.

CHE COS’E’ IL PECCATO?

Il Peccato Veniale non rompe la scelta fondamentale di Dio.
Invece il Peccato Mortale ci fa rompere il legame con Dio, le sue caratteristiche sono:
1.      PIENA AVVERTENZA (DECISIONE)
2.      DELIBERATO CONSENSO (VOLONTA’)
3.      MATERIA GRAVE
Il piano di Dio dopo il peccato è diventato ancora più bello.
Al peccato dei progenitori Dio risponde annunciando la venuta del Salvatore.
Con Gesù Dio ci prende tutti e ci rende figli di Dio.
Gesù continua sempre a portarci sempre più in alto!
Dice: ” Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste”.
Essere perfetti è un invito, significa, cioè, aggiungere quello che manca per rendere una cosa completa; portare a compimento, andare verso uno stato di pienezza,
Dobbiamo fare un cammino verso la santità!
Il Santo è una persona che si lascia coinvolgere da Cristo: è lui ciò che ci manca.
Dobbiamo fare un cammino; non sono le opere che ci rendono santi, ma è la presenza di Cristo nella nostra vita.
Qual è la risposta al male? E’ l’Amore.
Gesù ci chiama ad amare anche il nemico, cioè il diverso.
Il Diavolo prima ci fa peccare e poi ci fa disperare.
Per allontanarci dal peccato e da Satana Gesù s’incarna e muore in croce.
Gesù carica sulle Sue spalle tutti i mali del mondo, anche la solitudine dell’uomo.
Nella Genesi Adamo ed Eva non si fidano di Dio, non obbediscono al suo comando e rifiutano il suo amore: preferiscono il frutto dell’albero proibito.
E’ il peccato originale. Da allora l’infedeltà dell’uomo è realtà di tutti i giorni.
L’uomo,  a causa di quella prima colpa, è talmente ferito da non essere in grado di sollevarsi da solo. Il peccato non rende liberi, ma schiavi: l’uomo e la donna, pur amandosi, si accorgono di essere deboli e indifesi.
Il peccato rompe l’amicizia con Dio: l’uomo e la donna ora hanno paura di lui. Con il peccato il disordine è entrato nel cuore degli uomini e del mondo. Il serpente è simbolo di un essere ostile a Dio e all’uomo; in esso la Bibbia riconosce il diavolo.
Il peccato dell’uomo non può vincere l’amore di Dio: egli rimane fedele al suo progetto. La promessa di un Salvatore accompagna, dall’inizio, la storia degli uomini fino al giorno in cui verrà Gesù. La vita familiare e il lavoro, che dovevano dare solo gioia diventano anche causa di fatica e di sofferenza. Ma, più di tutto, il peccato dà la morte. Dio non ha creato la morte; il suo è un progetto di vita.
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. (Col 1, 16).
Ogni essere è dono del Dio della Vita. Ogni creatura porta in sé i segni della grandezza e della sapienza divina. Il cielo e la terra, le piante e gli animali e, soprattutto, l’uomo e la donna parlano dell’amore di Dio che fa vivere. Egli ha fatto ogni cosa con sapienza e amore, alle mani operose dell’uomo ha affidato l’universo perché esercitasse il dominio su ogni creatura. Il mondo con la varietà dei suoi elementi riempie di meraviglia gli occhi degli scienziati e delle persone semplici.  

Ordine sacro e Matrimonio si basano sull'amore di Cristo

Cari sacerdoti e cari sposi!
nella vostra presenza si coglie la bellezza dell’armonia e della complementarità delle vostre differenti vocazioni.

Ma sono due vocazioni diverse! Come fanno ad essere complementari?
La mutua conoscenza e la stima vicendevole, nella condivisione della stessa fede, portano ad apprezzare il carisma altrui e a riconoscersi all’interno dell’unico "edificio spirituale" (1 Pt 2,5) che, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù, cresce ben ordinato per essere tempio santo nel Signore (Ef 2,20-21).

Qual è l’unica sorgente di questi due stati di vita?
L’unica sorgente è quella eucaristica. Entrambi questi stati di vita hanno, infatti, nell’amore di Cristo, che dona se stesso per la salvezza dell’umanità, (troviamo) la medesima radice; sono chiamati ad una missione comune: quella di testimoniare e rendere presente questo amore a servizio della comunità, per l’edificazione del Popolo di Dio (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1534).

La famiglia allora cos’è?
La famiglia è ricchezza per gli sposi, bene insostituibile per i figli, fondamento indispensabile della società, comunità vitale per il cammino della Chiesa.

Per la Chiesa?
A livello ecclesiale valorizzare la famiglia significa riconoscerne la rilevanza nell’azione pastorale. Il ministero che nasce dal Sacramento del Matrimonio è importante per la vita della Chiesa: la famiglia è luogo privilegiato di educazione umana e cristiana e rimane, per questa finalità, la migliore alleata del ministero sacerdotale; essa è un dono prezioso per l’edificazione della comunità.

Perché il prete deve stare vicino alle famiglie?
La vicinanza del sacerdote alla famiglia, a sua volta, l’aiuta a prendere coscienza della propria realtà profonda e della propria missione, favorendo lo sviluppo di una forte sensibilità ecclesiale.


Quindi…
Nessuna vocazione è una questione privata, tantomeno quella al matrimonio, perché il suo orizzonte è la Chiesa intera. Si tratta, dunque, di saper integrare ed armonizzare, nell’azione pastorale, il ministero sacerdotale con "l’autentico Vangelo del matrimonio e della famiglia" (Enc. Familiaris consortio, 8) per una comunione fattiva e fraterna. E l’Eucaristia è il centro e la sorgente di questa unità che anima tutta l’azione della Chiesa.

Caro Padre ai sacerdoti cosa vuole dire?
Cari sacerdoti, per il dono che avete ricevuto nell’Ordinazione, siete chiamati a servire come Pastori la comunità ecclesiale, che è "famiglia di famiglie", e quindi ad amare ciascuno con cuore paterno, con autentico distacco da voi stessi, con dedizione piena, continua e fedele: voi siete segno vivo che rimanda a Cristo Gesù, l’unico Buon Pastore.

Per poter essere immagine del Dio Amore cosa devono fare?
Conformatevi a Lui, al suo stile di vita, con quel servizio totale ed esclusivo di cui il celibato è espressione. Anche il sacerdote ha una dimensione sponsale; è immedesimarsi con il cuore di Cristo Sposo, che dà la vita per la Chiesa sua sposa (cfr Esort. ap. postsin. Sacramentum caritatis, 24). Coltivate una profonda familiarità con la Parola di Dio. La celebrazione quotidiana e fedele dell’Eucaristia sia il luogo dove attingere la forza per donare voi stessi ogni giorno nel ministero e vivere costantemente alla presenza di Dio: è Lui la vostra dimora e la vostra eredità.

I sacerdoti cosa devono fare verso le famiglie?
Incoraggiate i coniugi, condividetene le responsabilità educative, aiutateli a rinnovare continuamente la grazia del loro matrimonio. Rendete protagonista la famiglia nell’azione pastorale. Siate accoglienti e misericordiosi, anche con quanti fanno più fatica ad adempiere gli impegni assunti con il vincolo matrimoniale e con quanti, purtroppo, vi sono venuti meno.


Per gli sposi su cosa si fonda il loro amore?
Cari sposi, il vostro Matrimonio si radica nella fede che "Dio è amore" (1Gv 4,8) e che seguire Cristo significa "rimanere nell’amore" (cfr Gv 15,9-10). La vostra unione è segno sacramentale dell’amore di Cristo per la Chiesa (cfr Ef 5,32), amore che culmina nella Croce e che è "significato e attuato nell’Eucaristia" (Esort. ap. Sacramentum caritatis, 29).

In che cosa consiste andare a Messa per gli sposi?
Il Mistero Eucaristico incida sempre più profondamente nella vostra vita quotidiana: traete ispirazione e forza da questo Sacramento per il vostro rapporto coniugale e per la missione educativa a cui siete chiamati; costruite le vostre famiglie nell’unità, dono che viene dall’alto e che alimenta il vostro impegno nella Chiesa e nel promuovere un mondo giusto e fraterno.

…e verso i loro sacerdoti come si devono comportare?
Amate i vostri sacerdoti, esprimete loro l’apprezzamento per il generoso servizio che svolgono. Sappiate sopportarne anche i limiti, senza mai rinunciare a chiedere loro che siano fra voi ministri esemplari che vi parlano di Dio e che vi conducono a Lui. La vostra fraternità è per loro un prezioso aiuto spirituale e un sostegno nelle prove della vita.

cosa deve significare
Cari sacerdoti e cari sposi, sappiate trovare sempre nella santa Messa la forza per vivere l’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa, nel perdono, nel dono di sé stessi e nella gratitudine. Il vostro agire quotidiano abbia nella comunione sacramentale la sua origine e il suo centro, perché tutto sia fatto a gloria di Dio. Il sacrificio di amore di Cristo vi trasformerà, fino a rendervi in Lui "un solo corpo e un solo spirito" (cfr Ef 4,4-6).

Perché?
In Gesù si rende visibile come il Dio che ama la vita non è estraneo o lontano dalle vicende umane, ma è l’Amico che mai abbandona. E nei momenti in cui si insinuasse la tentazione che ogni impegno educativo sia vano, attingete dall’Eucaristia la luce per rafforzare la fede, sicuri che la grazia e la potenza di Gesù Cristo possono raggiungere l’uomo in ogni situazione, anche la più difficile, (e) lo sguardo materno della Madre accompagni anche i vostri passi nella santità verso un approdo di pace.
 (Benedetto XVI nella Cattedrale di San Ciriaco di Ancona incontrando gli sposi e i sacerdoti, domenica 11 settembre 2011)

Natale

A rispondere alla nostra domanda natalizia di pace e di felicità non è né un sentimento, né un precetto, né una dottrina: è il Dio bambino. La Vergine Santissima lo stringe a sé, San Giuseppe accudisce i due. Per l'avvenimento di questa nuova famiglia che nasce si muovono gli Angeli e i pastori. I Magi da lontano hanno attraversato vie impervie. Questo inerme Bambino ha suscitato l'odio dei potenti che hanno versato il sangue di tanti innocenti, figura del destino di croce che fin dall'inizio segna il cammino del Dio fatto uomo sulla nostra terra. Nascita e morte, gli ingredienti della vita di ognuno di noi. Gioie e dolori, nostra quotidiana esperienza. A nulla si è sottratto il Dio con noi, senza intaccare in alcun modo il cammino della libertà di ogni uomo, qualunque sia il tempo e lo spazio cui appartiene. Senza impedire il genio creativo dell'intelligenza di cui lo ha dotato. Senza intralciare i tentativi di costruire vita buona nella famiglia umana. Egli è con noi fragile come un bimbo, destinato alla croce. Ma la sua croce non è sconfitta: è suprema manifestazione d'amore. Noi adoriamo questo bambino oggi, dopo 2000 anni, perché è risorto e vivo. È con noi qui ed ora. (Lettera natalizia 2011, Card. Angelo Scola)

L’esempio di Nazareth

La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.
(Paolo VI, Discorso tenuto a Nazareth, 5 gennaio 1964)

Il sacerdote nel secolo XXI

Viviamo in modo instabile. Esiste una instabilità nella famiglia, nel mondo del lavoro, nella varie aggregazioni sociali e professionali, nelle scuole e nelle istituzioni.
Il prete:
·         deve costituzionalmente essere un modello di stabilità e di maturità, di dedizione piena al suo apostolato.

Di fronte ad un mondo anemico di preghiera e di adorazione…
il sacerdote è
·         in primo luogo, l’uomo della preghiera, dell’adorazione, del Culto, della celebrazione dei santi Misteri.

Di fronte ad un mondo sommerso da messaggi consumistici, pan-sensualistici, assalito dall’errore, presentato negli aspetti più seducenti,
il sacerdote deve
·         parlare di Dio e delle realtà eterne e, per poterlo fare credibilmente, deve essere appassionatamente credente, così come deve essere “pulito”!
·         accettare l’impressione di essere in mezzo alla gente, come uno che parte da una logica e parla una lingua diversa dagli altri («non conformatevi alla mentalità di questo mondo», Rm 12,12). Egli non è come “gli altri”. Ciò che la gente aspetta da lui è proprio che non sia “come tutti gli altri”.

Di fronte ad un mondo immerso nella violenza e corroso dall’egoismo,
il prete deve
·         essere l’uomo della carità. Dalle vette purissime dell’Amore di Dio, scende a valle, dove molti vivono la loro vita di solitudine, di incomunicabilità, di violenza, per annunciare loro misericordia, riconciliazione e speranza.
·         rispondere alle esigenze della società, facendosi voce di chi non ha voce: i piccoli, i poveri, gli anziani, gli oppressi, gli emarginati.
·         non appartenere a se stesso ma agli altri.
·         cercare ciò che è di Cristo, ciò che è dei suoi fratelli.
·         condividere le gioie e i dolori di tutti, senza distinzioni di età, di categoria sociale, di estrazione politica, di pratica religiosa.
·         essere la guida della porzione di Popolo, che gli è affidata.
·         essere il pastore di una comunità formata da persona, che hanno, ciascuna, il loro nome, la loro storia, il loro destino, il loro segreto.
·         essere contemporaneamente piccolo e grande, nobile di spirito come un re, semplice e naturale come un contadino.
·         non abbassarsi davanti ai potenti, ma curvarsi davanti ai poveri e ai piccoli, discepolo del suo Signore e capo del suo gregge.
·         non solo essere dispensatori dei Misteri di Cristo, ma nella babele odierna essere segni sicuri di riferimento e di speranza, per quanti cercano la pienezza, il senso, il fine, la felicità.
 (Cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, 2011 a Los Angeles)

Inviati di Gesù per restare con lui

Di che cosa fa parte il seminario; che cosa significa questo periodo?
«Il Signore fece i Dodici». Egli crea qualcosa, Egli fa qualcosa, si tratta di un atto creativo. Ed Egli li fece, «perché stessero con Lui e per mandarli» (cfr. Mc 3, 14): questa è una duplice volontà che, sotto certi aspetti, sembra contraddittoria. «Perché stessero con Lui»: devono stare con Lui, per arrivare a conoscerlo, per ascoltarlo, per lasciarsi plasmare da Lui; devono andare con Lui, essere con Lui in cammino, intorno a Lui e dietro di Lui. Ma allo stesso tempo devono essere degli inviati che partono, che portano fuori ciò che hanno imparato, lo portano agli altri uomini in cammino — verso la periferia, nel vasto ambiente, anche verso ciò che è molto lontano da Lui. E tuttavia, questi aspetti paradossali vanno insieme: se essi sono veramente con Lui, allora sono sempre anche in cammino verso gli altri, allora sono in ricerca della pecorella smarrita, allora vanno lì, devono trasmettere ciò che hanno trovato, allora devono farLo conoscere, diventare inviati. E viceversa: se vogliono essere veri inviati, devono stare sempre con Lui.

Quindi…
come sacerdoti dobbiamo uscire fuori nelle molteplici strade in cui si trovano gli uomini, per invitarli al suo banchetto nuziale. Ma lo possiamo fare solo rimanendo sempre presso di Lui.

Ma il seminario è un tempo o un luogo?
Il seminario è dunque un tempo dell’esercitarsi; certamente anche del discernere e dell’imparare: Egli mi vuole per questo? La vocazione deve essere verificata, e di questo fa poi parte la vita comunitaria e fa parte naturalmente il dialogo con le guide spirituali che avete, per imparare a discernere ciò che è la sua volontà
Un tempo di discernimento, di apprendimento, di chiamata... E poi, naturalmente, in quanto tempo dell’essere con Lui, tempo di preghiera, di ascolto di Lui. Ascoltare, imparare ad ascoltarlo veramente — nella Parola della Sacra Scrittura, nella fede della Chiesa, nella liturgia della Chiesa — ed apprendere l’oggi nella sua Parola. Imparare ad ascoltare — e così poterne parlare agli altri uomini.

Lo stare con Dio “serve” per realizzare la mia personalità sacerdotale?
(Non proprio). Lo stare personalmente con Cristo, con il Dio vivente, è una cosa; l’altra cosa è che sempre soltanto nel «noi» possiamo credere. La fede viene dall’ascolto cioè dalla parola vivente, dalle parole che gli altri rivolgono a me e che posso sentire; dalle parole della Chiesa attraverso tutti i tempi, dalla parola attuale che essa mi rivolge mediante i sacerdoti, i Vescovi e i fratelli e le sorelle. Fa parte della fede il «tu» del prossimo, e fa parte della fede il «noi». E proprio l’esercitarsi nella sopportazione vicendevole è qualcosa di molto importante; imparare ad accogliere l’altro come altro nella sua differenza, ed imparare che egli deve sopportare me nella mia differenza, per diventare un «noi», chiamare le persone ad entrare nella comunanza della Parola ed essere insieme in cammino verso il Dio vivente.

Concretamente a quale “noi” siamo chiamati ad essere?
Al «noi» molto concreto, come lo è il seminario, come lo sarà la parrocchia, ma poi sempre anche il guardare oltre il «noi» concreto e limitato al grande «noi» della Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo, per non fare di noi stessi il criterio assoluto. Il «noi» è l’intera comunità dei fedeli, di oggi e di tutti i luoghi e tutti i tempi. Noi siamo Chiesa: Siamolo! Siamolo proprio nell’aprirci e nell’andare al di là di noi stessi e nell’esserlo insieme con gli altri!

In questo periodo di seminario su cosa dobbiamo maggiormente concentrarci?
La preparazione al sacerdozio, il cammino verso di esso, richiede anzitutto anche lo studio è qualcosa di essenziale. San Pietro ha detto: «Siate sempre pronti ad offrire a chiunque vi domandi, come risposta, la ragione, il logos della vostra fede» (cfr. 1Pt 3, 15).

Perché?
(Perché) il nostro mondo oggi è un mondo razionalistico e condizionato dalla scientificità, anche se molto spesso si tratta di una scientificità solo apparente. Ma lo spirito della scientificità, del comprendere, dello spiegare, del poter sapere, del rifiuto di tutto ciò che non è razionale, è dominante nel nostro tempo. C’è in questo pure qualcosa di grande, anche se spesso dietro si nasconde molta presunzione ed insensatezza. La fede non è un mondo parallelo del sentimento, che poi ci permettiamo come un di più, ma è ciò che abbraccia il tutto, gli dà senso, lo interpreta e gli dà anche le direttive etiche interiori, affinché sia compreso e vissuto in vista di Dio e a partire da Dio. Per questo è importante essere informati, comprendere, avere la mente aperta, imparare.

Quindi…
Studiare è essenziale: soltanto così possiamo far fronte al nostro tempo ed annunciare ad esso il logos della nostra fede. Studiare anche in modo critico — nella consapevolezza, appunto, che domani qualcun altro dirà qualcosa di diverso — ma essere studenti attenti ed aperti ed umili, per studiare sempre con il Signore, dinanzi al Signore e per Lui.
(sintesi del discorso a braccio pronunciato il 24 settembre scorso da Benedetto XVI, nella cappella del seminario di Friburgo, incontrandosi con una sessantina di seminaristi dell’arcidiocesi)

Gesù è Nato

Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”.
Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere.
Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato. Celebriamo così la liturgia di questa Notte santa e rinunciamo a fissarci su ciò che è materiale, misurabile e toccabile. Lasciamoci rendere semplici da quel Dio che si manifesta al cuore diventato semplice.
(L'omelia di Benedetto XVI durante la Messa della Notte per il Natale 2011)

Cristiano credi in te stesso

Dal libro della Genesi: “Poi levarono l'accampamento da Betel. Mancava ancora un tratto di cammino per arrivare ad Efrata, quando Rachele partorì ed ebbe un parto difficile. Mentre penava a partorire, la levatrice le disse: «Non temere: anche questo è un figlio!». Mentre esalava l'ultimo respiro, perché stava morendo, essa lo chiamò Ben-Oni [che significa figlio del dolore], ma suo padre lo chiamò Beniamino [figlio di buon augurio]. Così Rachele morì e fu sepolta lungo la strada verso Efrata, cioè Betlemme. Giacobbe eresse sulla sua tomba una stele. Questa stele della tomba di Rachele esiste fino ad oggi.”

Morte e vita si incontrano, dolore e speranza, il confine passa attraverso un soffio, il soffio, che non è parte della vita ma prova della vita. Il soffio che è volatile, passa, si perde e si spegne, così come le nostre vite.


Ma davvero è tutto qui, davvero la nostra vita è solo soffio, davvero si sta, come scriveva Ungaretti nei mesi terribili in cui ha vissuto in trincea, sul Carso, “Come d’autunno sugli alberi le foglie”?

Un cristiano dovrebbe sapere che non è così, che non siamo scatolette di carne con una scadenza. Il cristiano è animato da un soffio di vita e di speranza che viene da lontano e che non si perde, che, addirittura, si fa carne e sangue in lui, si fa vita. Anche nel dolore, anche nella fatica, anche nella croce.

Cristiano credi in te stesso significa, fondamentalmente questo: cristiano sii chi sei, nel profondo, vivi la vita che Dio ti ha donato facendo esplodere in te ed attorno a te il soffio vitale che hai ricevuto nel battesimo, che ricevi di domenica in domenica nell’eucarestia, che hai ricevuto nei sacramenti della cresima, del matrimonio, dell’ordinazione sacerdotale. Che recuperi nel sacramento del perdono.

Viviamo un tempo di paure e di ansie, un tempo in cui i nostri gesti ed in nostri pensieri continuamente sconfessano quella parola che il Signore ci ha consegnato nel vangelo di Matteo “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.” Cacciamo da noi stessi e dalla nostra vita il soffio vitale, la voce del Signore che giorno per giorno mostra la strada, conduce per la valle oscura, porta a nuovi pascoli, guida ad acque tranquille.

Cristiano credi in te stesso significa credere e vivere non come se Dio esistesse, ma nella luce e nella forza di Dio che ci è partecipata di momento in momento, anche al buio, anche quando non ci sembra possa accadere.

L’uomo dell’Antico testamento viveva davanti a Dio, e questo era già cosa molto buona. Viveva continuamente rivolto a lui, Lui ringraziava per i frutti della terra, per gli armenti, ogni manifestazione della natura era manifestazione di Dio. E questo era sano, molto sano. Ma non sufficiente perché faceva di Dio una sorta di padrone, buono finché volete ma pur sempre padrone….
Con Gesù ed in Gesù le cose cambiano e molto, totalmente. Non vi chiamo più servi ma amici. E forse anche qualche cosa di più perché siamo, in Lui e grazie a Lui, carne e sangue di Dio stesso. Là dove Dio ha condiviso la nostra carne anche noi siamo chiamati a condividere la sua carne, che è il soffio di Dio, che è la vita di Dio!
Credere questo significa credere che siamo parte di Dio, credere che siamo inseriti, nel cuore della Trinità. Che siamo parte di quel movimento straordinario che lega il Padre con il Figlio nello Spirito. Che siamo al centro di un vortice di amore e di vita che vince ogni morte.
Questa è la nostra vocazione prima ed ultima, totale, nella quale poi ognuno trova la sua particolare strada, il suo particolare percorso, il suo modo di essere e di vivere in questo spirito, anzi nello Spirito.
Il cristiano ha smarrito questo senso di Dio, questa vocazione fondamentale e fondate, e dunque ha smarrito anche se stesso. Perché ogni cristiano è creato in Cristo ed in vista di Cristo come scrive Paolo ai Filippesi. Dio Padre lo crea pensando al Figlio e, messo nel tempo e nello spazio, puntando ad aiutarlo a diventare come il Figlio.
Questo è la nostra straordinaria, bellissima eredità e missione. Di ognuno di noi, là nello stato di vita in cui si trova. Perché non si tratta di mollare tutto e ritirarsi in un eremo, si tratta invece di vivere in pienezza la propria specifica vocazione come parte di un tutto di cui tutti noi facciamo parte. Cristo è uno solo ed assomma in sé ogni vocazione – ha fatto bene ogni cosa dicevano di lui. Ognuno di noi riflette un aspetto della vita di Cristo, della sua totalità.

In ciò Egli è maestro, cioè indicatore di un percorso, modello dell’esistenza, modello soprattutto di ascolto e di obbedienza a quel soffio divino che ci è dato. Ogni vita cristiana è, così, un’esistenza teologica, un’esistenza cioè che ha in Dio la sua condizione di possibilità, che trova in Dio la sua ragion d’essere, che ascolta in Dio le profondità dei suoi desideri e delle sue aspirazioni.

Come scriveva s. Teresina: “Gesù è maestro dei maestri perché il regno di Dio è già dentro di noi, perché abita il nostro cuore. Prima di tutto non abbiamo bisogno di libri, di fiumi di parole e di conferenze, Egli – il maestro – insegna senza il rumore delle parole, lui che è la Parola. Non l’ho mai sentito parlare, ma sento che Egli è in me, ogni momento. Egli mi guida e mi ispira ciò che devo dire o fare. Proprio quando ne ho bisogno scopro delle verità che prima non avevo mai compreso”.
Questa è una esistenza teologica, una esistenza protesa al Signore, una esistenza in ascolto, un’esistenza cristiana. Che vive non a caso, nel caso o per caso. Che vive non giorno per giorno in ascolto di chissà quale parole, attendendo che qualcuno lavori al posto suo o vada a prendere i figli a scuola al posto suo….
Un’esistenza con i piedi ben piantati per terra, che sa quali siano i propri doveri nei confronti di se stesso, della famiglia, della società e della Chiesa, ma una esistenza sempre pronta a convertirsi, a cambiare, a migliorare, a voltare il capo altrove, in ascolto di quel soffio. Disposta a scoprire giorno per giorno la propria missione, anche e soprattutto quando si fa difficile.

Cristiano credi in te stesso significa, da ultimo, partecipare alla costruzione del Regno di Dio, essere quella pietra viva che costruisce l’edificio spirituale, la Gerusalemme nuova, il corpo vivo del Cristo nel tempo e nella storia. Ogni esistenza cristiana è parte della grande missione che il Padre ha affidato al Figlio e che il Figlio ha affidato a ciascuno di noi.
Questo si fa non fondando ordini religiosi o realizzando grandi imprese, per qualcuno è così, ma non per tutti, probabilmente per nessuno di noi, oggi, qui. Questo si fa, costruire il Regno, vivendo il momento presente, il momento attuale, senza scoraggiarsi pensando al passato ed al futuro, ma tesi a costruire l’oggi di Dio.

Il cristiano che conosce la volontà di Dio non conosce né la preoccupazione né l’astrazione. Nella consapevolezza che il mio piccolo oggi, costruito nella volontà del Signore, costruisce il Regno. Age quod agis fai bene quello che stai facendo, con un occhio a te ed uno al mondo, alla comunità, a quanto ti circonda.
Con una consapevolezza, che va spiegata e per la quale vi chiedo ascolto prima di “difendervi” con una precomprensione. La consapevolezza è quella di essere migliori. Di sapere che il cristiano è migliore, che il cristianesimo è migliore.
Migliore sta a dire non superiore, migliore sta a dire più buono. Buono per grazia di Dio, non per merito, ma più buono, migliore di altro. Migliore perché migliori gli altri. Migliore non perché gli altri restino peggiori, ma migliore perché gli altri migliorino ed addirittura superino – è il paolino fare gara nello stimarvi a vicenda. Migliore come, ad esempio, è migliore l’insegnate che è chiamato a rendere migliori i propri allievi.
Abbiamo un unico Maestro, Cristo, però ciascuno di noi è chiamato ad agire, nel compiere la propria missione, nell’essere se stesso – un cristiano – in modo tale che altri comprendano e vivano. Gli scout dicono che quando passano in un luogo lo devono lasciare migliore di come lo hanno trovato, così è del cristiano se crede nel meglio che gli è stato consegnato in dono, se crede che, pur in vasi di creta, egli porta un tesoro inestimabile, la vita divina che lo abita e che deve e può condividere con il mondo.

Cristiano credi in te stesso, perché Dio – in Cristo incarnato, morto e risorto – crede in te.

Concludo citando S. Giovanni Grisostomo, un padre della Chiesa del IV secolo: “Il Cristo pasce agnelli. Finché saremo agnello del suo gregge vinceremo. Quando diventeremo lupi e ci disperderemo perderemo”.