Gratis

Gratis
GRATUITAMENTE AVETE RICEVUTO, GRATUITAMENTE DATE, (Mt 10,8b). Noi abbiamo solo il presente da vivere e in questo tempo ci giochiamo la nostra vita, la nostra eternità, il nostro destino (E. Olivero)

sabato, ottobre 5

Amo Gesù nei poveri

Come stai quando sei davanti ad un povero? Con pazienza, amore, indifferenza, fastidio, fretta, simpatia? 
Gesù ritiene fatto a Lui stesso ciò che noi facciamo nei riguardi delle persone povere e sofferenti. Il compito della Chiesa è far riflettere la luce di Cristo in ogni epoca. Come non svilire questa missione? Noi per primi dobbiamo essere contemplativi del suo volto. Come? Con dei percorsi, altrimenti la nostra testimonianza sarebbe povera, misera. Vivremo il tutto con delusione e irritazione.

PRIMO PERCORSO
Quanto di Cristo ci dice la Sacra Scrittura? L'Antico e il Nuovo Testamento non sono due libri separati. Nel Nuovo Testamento Gesù svela, mostra, da compimento alle Promesse di Dio, già presenti nell'Antico Testamento. Il Nuovo Testamento non è una biografia di Gesù. Gli evangelisti mostrano il volto di Gesù Nazareno con un sicuro fondamento storico. Assieme alla Sacra Scrittura abbiamo la grazia di possedere delle risorse umane, strumenti storici, archeologici, letterari, per conoscere Cristo. 

SECONDO PERCORSO
L'esperienza del silenzio e della preghiera. Questi due elementi offrono di maturare e sviluppare la conoscenza più vera, aderente, coerente del volto di Gesù (Gv 1,14), vedemmo non il suo volto ma la sua gloria. Questo è il vero incontro, con il Risorto. 

TERZO PERCORSO
Nella celebrazione dei Sacramenti in cui la Salvezza ci raggiunge, risana e santifica il cuore e la vita. L'anno liturgico ci aiuta ad entrare sempre più i misteri di Cristo. Rimeditarli e lasciarci investire dalla Grazia per la quale la sorte di Cristo diventa la nostra. La liturgia è la grande maestra, prima di essere un compito è un dono, ci aiuta a comprendere il Cristianesimo, e proprio per questo dobbiamo curare la nostra partecipazione; cioè dobbiamo tenerci lontano dalla sciatteria o dalla teatralità, oppure ci lasciamo guidare dal senso del mistero che si compie e dalla dignità dell'atto liturgico. 

QUARTO PERCORSO
Il livello storico e quello sacramentale necessitano un livello morale ed esistenziale per camminare sulla strada della santità perché lo scopo finale è il cambiamento di mentalità, cioè la conversione dell'uomo, la progressiva trasformazione in Cristo. Tutto questo vuol dire: sentimenti, pensieri, giudizi, atteggiamenti e le scelte di Cristo diventano la nostra quotidianità, il volto di Cristo è intravisto nel nostro volto.
Il volto di Cristo è da contemplare anche nel volto dei poveri perché Dio s'è fatto prossimo dell'uomo. Questa scelta di Dio dei poveri ci costringe ad uscire dal nostro individualismo ed egoismo, perché la contemplazione di Gesù è la ragione più profonda della nostra dedicazione agli altri. Se la contemplazione dovesse chiudersi, isolarci, lasciarci tranquilli non guadagnerò nulla sia nella contemplazione che nella carità. Con la contemplazione misuriamo la nostra fedeltà alla scelta dei poveri, per i poveri, perché ogni forma di povertà è un'opzione, non opzionale, ma fondamentale, perché anche i poveri si sentano comunità cristiana, cioè famiglia, altrimenti l'annuncio del Vangelo, prima forma di carità, si riduce ad un mucchio di parole, a filantropia.
La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole (NMI, 50). La dimensione contemplativa della vita ha bisogno di coraggio, cioè di spazi di silenzio per ricentrare la persona nella sua totalità. Chi ha tempo libero deve occuparlo per non cadere in forma di pigrizia o passività. Chi ha troppo da fare, deve decidersi a mettere in discussione qualcosa per fermarsi e ritrovare se stesso e il Signore.


Tutto questo per accettare se stessi, perché è la cosa più difficile, è l'arte di essere semplici, è il nocciolo di un'intera visione del mondo e dò prova di una grande virtù: ospito un mendicante, perdono chi mi ha offeso, amo il mio nemico nel nome di Cristo; ma se dovessi scoprire che...
il più piccolo di tutti
il più povero di tutti i mendicanti
il più sfacciato degli offensori
il nemico stesso
                                            SONO IO?
Io stesso ho bisogno dell'elemosina della mia bontà, io stesso sono il nemico d'amare, cosa accadrebbe?
Accadrebbe un rovesciamento della verità cristiana, non avremo più amore e pazienza, ma insulteremo il fratello che è in noi, ci condanniamo, ci adiriamo contro noi stessi, mentiamo a noi stessi!
E se fosse Dio stesso a presentarsi a noi sotto quella forma spregevole? Lo avremmo rinnegato! Il rischio sarebbe di cadere in un vittimismo che paralizza, una disistima patologica.

Invece la nostra povertà, riconosciuta e accolta ci condurrà alla consapevolezza che nulla mi appartiene e tutto è un dono, "Conoscete infatti la grazia del signore nostro Gesù Cristo; da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Cor 8,9).
Quindi un rifiuto alla violenza, all'affermazione di sé, alle aspettative verso gli altri; i progetti, tempo, mezzi non per sé ma al servizio degli altri, come Gesù, prendendo la propria croce per non essere il primo. Per essere "poveri in spirito", cioè coloro che non si sentano autosufficienti, ma si affidano a Dio, perché certi della sua bontà, potenza, misericordia, sono coloro che hanno messo ogni speranza in Dio; è l'uomo che ha capito che deve tutto a Dio, non è padrone del mondo, è colui che ha bisogno degli altri, ma ha una sicurezza...Dio lo ama!
E' l'uomo che chiede, domanda, ringrazia sapendo che tutto quello che riceve è un dono. E' l'uomo che non ha vergogna d'essere aiutato, non petulante (arrogante, permaloso). Riconosce l'amore vero e gratuito, non pensa di avere diritto a tutto, o dei meriti; non è un violento.
Ciò che conta è non essere sazio, perché non è sufficiente che Gesù porti il suo Regno, ma serve l'accoglienza, solo così il Regno diventa visibile. Gesù usa solo per due categorie di uomo la parola fratello, per il povero e per il discepolo. Queste due categorie sono il metro di giudizio della civiltà che stiamo costruendo. Per noi cristiani l'unico metro di misura sono i poveri, perché ogni giudizio che dimentica le sofferenze dei fratelli reca il segno di Caino.
Persino le virtù personali, la Trascendenza, la preghiera, la meditazione se non portano in sé l'urgenza di dedicarsi agli altri non diventa storia di liberazione.
Nutrire una vera attenzione ai poveri, e lottando l'ipocrisia che sotto una falsa benevolenza li considera degli scarti, significa contemplarli non in astratto ma che s'intrecciano con la propria vita. Contemplando il loro volto, cioè la sua domanda e la sua richiesta di aiuto, lì troveremo Dio. I poveri non sono utenti, ma fratelli, il cristiano è colui che ha un povero per amico. Diventando amici di Dio ci si ritrova amici dei poveri. Chi aiuta i poveri, si ritroverà una vita riempita dai bisognosi, veri angeli di senso e affetto. I poveri non sono attraenti, imbarazzano, importunano, chiedono, ma anche intercederanno per noi davanti a Dio nell'ultimo giorno.
La carità verso i poveri è un tempo di misericordia, di salvezza. Dio e il povero hanno uno stretto legame, sono una cosa sola, una carne sola.
Il povero è un uomo reale che mendica, che ha la mano chiusa o aperta. Non basta essere un compagno o un camerata, un angelo custode a ore, una visione dei poveri molto romantica. Non basta giustificarsi, non serve filosofare se vogliamo Dio o se amiamo Dio, dobbiamo entrare nella nostra povertà e cercare il povero che è in noi per trovare l'uomo nel povero. 

venerdì, ottobre 4

Come...la Sacra Famiglia

Come Giuseppe, uomo giusto, coraggioso e generoso, che ha accolto Gesù, lo affollano mille pensieri. E' un giovane serio, artigiano, che conduce una vita decorosa e sicura. Alla notizia che Maria è incinta, lui non capisce ma è sicuro che Maria non dice bugie. E' un uomo giusto perché rispetta la legge, che dice di condannare donne come Maria e di conseguenza verrebbe stracciato il fidanzamento; sarebbe giusto davanti alla legge ma ingiusto davanti a Maria. Ha deciso di farsi da parte in silenzio, perché era chiaro che su Maria c'era un progetto di Dio. Ma l'angelo gli comparve in sogno. Che tipo di sogno? Sicuramente non come i nostri, perché dormiamo, nemmeno ad occhi aperti, perché si avrebbe uno scambio tra la realtà e la fantasia.
Quale sogno? L'evangelista Matteo chiama sogno, un'esperienza straordinaria di dialogo con Dio. E' straordinaria perché uno avrebbe potuto dire il proprio no, Dio vuole il nostro sì libero,  invece Giuseppe continua a non capire ma dice il suo sì, non capisce ma crede,è coraggioso perché abbandona i suoi progetti per seguire il sogno Dio. Questo si chiama fede. Cioè la capacità di abbandonare le proprie strade per seguire quelle misteriose di Dio. Questo implica generosità nell'abbandonarsi a Dio.


Come Maria, simbolo della fiducia totale, l'unica creatura a farsi scombussolare così tanto da Dio. Ha accolto Gesù dentro di sè, rinunciando a tutti i suoi progetti; lo ha accettato in una grotta, non in una reggia; lo ha accettato facendo crescere, Gesù-re, come un bambino normale; lo ha accettato sotto la croce. Una donna normale si sarebbe sentita presa in giro perché gli avevano promesso che sarebbe stato grande.
Come Gesù, Colui che sconvolge il nostro modo normale di pensare. Tutti aspettavano un super uomo, invece nasce fuori casa in una grotta, si rivolge ai pastori, peccatori, emarginati, a tutti coloro che non rispettano il sabato.
Gesù è un Dio che nasce piccolo e povero, sconvolgendo i criteri umani: se non sei bello, magro, potente, ricco, famoso e sano... non vali niente!
La nascita di Gesù è lo scombussolamento di tutte le sicurezze umane:
- tutti sono uguali perché sono maschio e femmina, non per altro.
- tutti sono importanti, liberi, valgono perché sono maschio e femmina.
Ciò che è vero, bello, buono non dipende da quello che dicono, pensano, fanno tutti, ma da ciò che è bene per tutti, soprattutto per i più deboli.
Credere in Dio non vuol dire tentare di farlo ragionare come noi, ma accettare di ragionare come Lui. Credere in Gesù vuol dire seguire la sua strada, cioè Gesù nasce piccolo, povero, indifeso, straniero, nasce per obbedire al padre, fare la sua volontà e amare ogni uomo fino alla fine, fino all'ultima goccia di sangue. 

giovedì, ottobre 3

Cresima

Con la Cresima si confermano le promesse battesimali in: Gesù, Figlio Redentore; Dio Padre; Spirito Santo, che è l'amore tra il Padre e il Figlio.  Questo Sacramento ci rende perfetti cristiani, ci da la forza per testimoniare Gesù, diventiamo cristianamente maturi. Non siamo maturi per l'età adulta ma per la nostra unione spirituale a Cristo, solo così ognuno di noi si lascia guidare, muovere dal principio della carità. 
Il compito principale del cristiano è di annunciare a tutti la Parola di Dio, seguendo l'esempio dei primi discepoli. Per far ciò si deve dire il proprio sì allo Spirito santo, chiedergli di abitare in noi, ricordandosi che Dio ci lascia liberi perché la nostra volontà deve essere piena, responsabile, coerente.
Gli effetti della Confermazione sono di accrescere, consolidare, confermare la nostra fede, quello che abbiamo professato fin dal Battesimo. 
La Cresima crea un' unione più forte con il Padre e Gesù, di cui diventiamo fratelli, apostoli, messaggeri; aumenta in noi i doni dello Spirito Santo; imprime nell'anima il Carattere, che è un marchio spirituale indelebile. 
Questo sigillo incancellabile è il segno che Gesù ha rivestito il cristiano del suo Spirito Santo. C'è da ricordarsi che l'effetto della Confermazione, con il Battesimo, non può essere cancellato in nessun modo, per questo si fa una sola volta. Ci rende membri attivi della Chiesa, la grande famiglia di Dio. 
La Cresima è il Sacramento:
- di fortezza contro il male, la morte. Ci aiuta a vivere una vita autentica, alla ricerca del Bene, dei giusti valori.
- del credere come Maria, che ha sempre creduto.
della pienezza, della maturità: in cui dico... "io voglio aderire a Cristo!".
- dell'effusione dello Spirito Santo e dei suoi doni ed effetti.
- della Pentecoste personale, come agli apostoli e a Maria. La conseguenza di questa Pentecoste è: volti sereni, coraggiosi nell'annunciare Cristo Risorto.
- della testimonianza, in ogni luogo.
- dell'impegno personale. Uno è impegnato solo quando prende degli impegni e li mantiene. Così gl'impegni cristiani sono per una vita piena in Cristo, per vivere in pieno significato la carità.
- dell'essere conformi a Cristo. Somiglianza a Cristo. Chi vede il cristiano dovrebbe vedere Cristo e la Chiesa. 

lunedì, settembre 30

Croce di Gesù


La croce non è quella che avresti pensato e non arriva al momento giusto. La croce è sempre irriconoscibile, inattesa, sorprendente, sconvolgente, giunge regolarmente a sproposito, non è nemmeno quella che avresti scelto tu se te ne fosse stata offerta la possibilità. La croce non è mal quella giusta, ti sembra non sia la tua, non ti vada bene, ci sia stato un errore di consegna. La croce non è amabile, Gesù non ti comanda di amarla, Lui stesso non ha amato la croce, ha amato gli uomini fino alla croce e attraverso la croce, che è tutt’altra cosa.. L'infermità non va amata in sé, devi piuttosto amare la vita, amare l’amore.. Diffida di un certo dolorismo compiaciuto ed esasperato, guardati da un certo vittimismo ambiguo, la croce va accolta nell' amore, portata con amore, deve diventare espressione d'amore, tradursi in esperienza d’amore. Gesù non ti chiederà se la hai amato croce, ma se la croce ti ha condotto ad amare di più Lui, a capire e compatire i fratelli, a riconciliarti con te stesso e con i tuoi limiti. (San Luigi Orione)


domenica, settembre 29

LA PASSIONE DEL SIGNORE DESCRITTA DA UN MEDICO

Alcuni anni fa un dottore francese, Barbet, si trovava in Vaticano insieme con un suo amico, il dottor Pasteau. Nel circolo di ascoltatori c'era anche il cardinal Pacelli. Pasteau raccontava che, in seguito alle ricerche del dottor Barbet, si poteva ormai essere certi che la morte di Gesù in croce era avvenuta per contrazione tetanica di tutti i muscoli e per asfissia.
Il cardinal Pacelli impallidì. Poi mormorò piano:- Noi non ne sapevamo nulla; nessuno ce ne aveva fatto parola.
In seguito a quella osservazione Barbet stese per iscritto una ricostruzione, dal punto di vista medico, della passione di Gesù.
Premise un'avvertenza:
«Io sono soprattutto un chirurgo; ho insegnato a lungo. Per 13 anni sono vissuto in compagnia di cadaveri; durante la mia carriera ho studiato a fondo l'anatomia. Posso dunque scrivere senza presunzione ». 
«Gesù entrato in agonia nell'orto del Getsemani - scrive l'evangelista Luca - pregava più intensamente. E diede in un sudore come di gocce di sangue che cadevano fino a terra ».
Il solo evangelista che riporta il fatto è un medico,
Luca. E lo fa con la precisione di un clinico. Il sudar sangue, o ematoidròsi, è un fenomeno rarissimo. Si produce in condizioni eccezionali: a provocarlo ci vuole una spossatezza fisica, accompagnata da una scossa morale violenta, causata da una profonda emozione, da una grande paura. Il terrore, lo spavento, l'angoscia terribile di sentirsi carico di tutti i peccati degli uomini devono aver schiac­ciato Gesù.
Questa tensione estrema produce la rottura delle finis­sime vene capillari che stanno sotto le ghiandole sudori­pare... Il sangue si mescola al sudore e si raccoglie sulla pelle; poi cola per tutto il corpo fino a terra. 
Conosciamo la farsa di processo imbastito dal Sine­drio ebraico, l'invio di Gesù a Pilato e il ballottaggio della vittima fra il procuratore romano ed Erode. Pilato cede e ordina la flagellazione di Gesù. I soldati spogliano Gesù e lo legano per i polsi a una colonna dell'atrio. La flagel­lazione si effettua con delle strisce di cuoio multiplo su cui sono fissate due palle di piombo o degli ossicini. Le tracce sulla Sindone di Torino sono innumerevoli; la maggior parte delle sferzate è sulle spalle, sulla schiena, sulla re­gione lombare e anche sul petto.
I carnefici devono essere stati due, uno da ciascun lato, di ineguale corporatura. Colpiscono a staffilate la pelle, già alterata da milioni di microscopiche emorragie del sudor di sangue. La pelle si lacera e si spacca; il sangue zampilla. A ogni colpo il corpo di Gesù trasale in un sopras­salto di dolore. Le forze gli vengono meno: un sudor freddo gli imperla la fronte, la testa gli gira in una verti­gine di nausea, brividi gli corrono lungo la schiena. Se non fosse legato molto in alto per i polsi, crollerebbe in una pozza di sangue. 
Poi lo scherno dell'incoronazione. Con lunghe spine, più dure di quelle dell'acacia, gli aguzzini intrecciano una specie di casco e glielo applicano sul capo.
Le spine penetrano nel cuoio capelluto e lo fanno san­guinare (i chirurghi sanno quanto sanguina il cuoio ca­pelluto).
Dalla Sindone si rileva che un forte colpo di bastone dato obliquamente, lasciò sulla guancia destra di Gesù una orribile piaga contusa; il naso è deformato da una frattura dell'ala cartilaginea.
Pilato, dopo aver mostrato quello straccio d'uomo alla folla inferocita, glielo consegna per la crocifissione.  
Caricano sulle spalle di Gesù il grosso braccio orizzon­tale della croce; pesa una cinquantina di chili. Il palo verti­cale è già piantato sul Calvario. Gesù cammina a piedi scalzi per le strade dal fondo irregolare cosparso di cottoli. I soldati lo tirano con le corde. Il percorso, fortunatamente, non è molto lungo, circa 600 metri. Gesù a fatica mette un piede dopo l'altro; spesso cade sulle ginocchia.
E sempre quella trave sulla spalla. Ma la spalla di Gesù è coperta di piaghe. Quando cade a terra la trave gli sfugge e gli scortica il dorso. 
Sul Calvario ha inizio la crocifissione. I carnefici spo­gliano il condannato; ma la sua tunica è incollata alle piaghe e il toglierla è semplicemente atroce. Non avete mai staccato la garza di medicazione da una larga piaga contusa? Non avete sofferto voi stessi questa prova che richiede talvolta l'anestesia generale? Potete allora rendervi conto di che si tratta.
Ogni filo di stoffa aderisce al tessuto della carne viva; a levare la tunica, si lacerano le terminazioni nervose messe allo scoperto nelle piaghe. I carnefici dànno uno strappo violento. Come mai quel dolore atroce non provoca una sincope?
Il sangue riprende a scorrere; Gesù viene steso sul dorso. Le sue piaghe s'incrostano di polvere e di ghiaietta. Lo distendono sul braccio orizzontale della croce. Gli aguzzini prendono le misure. Un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi e l'orribile supplizio ha inizio. Il carnefice prende un chiodo (un lungo chiodo appuntito e quadrato), lo appoggia sul polso di Gesù; con un colpo netto di martello glielo pianta e lo ribatte saldamente sul legno.
Gesù deve avere spaventosamente contratto il viso. Nello stesso istante il suo pollice, con un movimento vio­lento, si è messo in opposizione nel palmo della mano: il nervo mediano è stato leso. Si può immaginare ciò che Gesù deve aver provato: un dolore lancinante, acutissimo che si è diffuso nelle sue dita, è zampillato, come una lingua di fuoco, nella spalla, gli ha folgorato il cervello il dolore più insopportabile che un uomo possa provare, quel­lo dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi. Di solito provoca una sincope e fa perdere la conoscenza. In Gesù no. Almeno il nervo fosse stato tagliato netto! Invece (lo si constata spesso sperimentalmente) il nervo è stato di­strutto solo in parte: la lesione del tronco nervoso rimane in contatto col chiodo: quando il corpo di Gesù sarà sospeso sulla croce, il nervo si tenderà fortemente come una corda di violino tesa sul ponticello. A ogni scossa, a ogni movimento, vibrerà risvegliando il dolore straziante. Un supplizio che durerà tre ore.

Anche per l'altro braccio si ripetono gli stessi gesti, gli stessi dolori.
Il carnefice e il suo aiutante impugnano le estremità della trave; sollevano Gesù mettendolo prima seduto e poi in piedi; quindi facendolo camminare all'indietro, lo addos­sano al palo verticale. Poi rapidamente incastrano il brac­cio orizzontale della croce sul palo verticale.
Le spalle di Gesù hanno strisciato dolorosamente sul legno ruvido. Le punte taglienti della grande corona di spine hanno lacerato il cranio. La povera testa di Gesù è inclinata in avanti, poiché lo spessore del casco di spine le impedisce di riposare sul legno. Ogni volta che Gesù sol­leva la testa, riprendono le fitte acutissime.
Gli inchiodano i piedi.
È mezzogiorno. Gesù ha sete. Non ha bevuto nulla né mangiato dalla sera precedente. I lineamenti sono tirati, il volto è una maschera di sangue. La bocca è semiaperta e il labbro inferiore già comincia a pendere. La gola è secca e gli brucia, ma Gesù non può deglutire. Ha sete. Un soldato gli tende, sulla punta di una canna, una spugna imbevuta di una bevanda acidula in uso tra i militari.
Ma questo non è che l'inizio di una tortura atroce. Uno strano fenomeno si produce nel corpo di Gesù. I muscoli delle braccia s’irrigidiscono in una contrazione che va accentuandosi: i deltoidi, i bicipiti sono tesi e rilevati, le dita s’incurvano. Si tratta di crampi. Alle cosce e alle gambe gli stessi mostruosi rilievi rigidi; le dita dei piedi s’incurvano. Si direbbe un ferito colpito da tetano, in preda a quelle orribili crisi che non si possono dimenti­care. È ciò che i medici chiamano tetania, quando i crampi si generalizzano: i muscoli dell'addome si irrigidiscono in onde immobili; poi quelli intercostali, quelli del collo e quelli respiratori. Il respiro si è fatto a poco a poco più
corto. L'aria entra con un sibilo ma non riesce quasi più a uscire. Gesù respira con l'apice dei polmoni. Ila sete di aria: come un asmatico in piena crisi, il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, poi trascolora nel violetto purpureo e infine nel cianotico.
Gesù, colpito da asfissia, soffoca. I polmoni, gonfi d'aria non possono più svuotarsi. La fronte è imperlata di sudore, gli occhi gli escono fuori dall'orbita. Che dolori atroci devono aver martellato il suo cranio! 
Ma cosa avviene? Lentamente, con uno sforzo sovru­mano, Gesù ha preso un punto di appoggio sul chiodo dei piedi. Facendosi forza, a piccoli colpi, si tira su, allegge­rendo la trazione delle braccia. I muscoli del torace si distendono. La respirazione diventa più ampia e profonda, i polmoni si svuotano e il viso riprende il pallore primitivo.
Perché tutto questo sforzo? Perché Gesù vuole par­lare: « Padre, perdona loro: non sanno quello che fanno ». Dopo un istante il corpo ricomincia ad afflosciarsi e l'asfissia riprende. Sono state tramandate sette frasi di Gesù dette in croce: ogni volta che vuol parlare, Gesù dovrà sollevarsi tenendosi ritto sui chiodi dei piedi... Inimma­ginabile! 
Uno sciame di mosche (grosse mosche verdi e blu come se ne vedono nei mattatoi e nei carnai), ronza attorno al suo corpo; gli si accaniscono sul viso, ma egli non può scacciarle. Dopo un po', il cielo si oscura, il sole si nasconde: d'un tratto la temperatura si abbassa. Fra poco saranno le tre del pomeriggio. Gesù lotta sempre; di quando in quando si risolleva per respirare. È l'asfissia periodica dell'infelice che viene strozzato e a cui si lascia riprendere fiato per soffocarlo più volte. Una tor­tura che dura tre ore.
Tutti i suoi dolori, la sete, i crampi, l'asfissia, le vibra­zioni dei nervi mediani, non gli hanno strappato un lamento. Ma il Padre (ed é l'ultima prova) sembra averlo abbandonato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abban­donato?».
Ai piedi della croce stava la madre di Gesù. Potete immaginare lo strazio di quella donna?
Gesù dà un grido: « È finito ».
E a gran voce dice ancora: «Padre, nelle tue mani raccomando il miospirito ».
E muore.